Allo specchio

La complementarità non è qualcosa che possiamo analizzare razionalmente… o decidere che vi sia… la complementarità è qualcosa che c’è… a prescindere che accettiamo o meno di vederla…

Capita a volte di incontrare persone davanti alle quali, chissà per quale strano motivo, sentiamo l’inspiegabile spinta a fuggire via lontani; capita poi, in modo altrettanto incomprensibile, di non ascoltare il suggerimento dell’istinto e di decidere invece di iniziare una frequentazione non possiamo fare a meno di stare con la guardia alzata; infine capita che, prima o poi, tutto quel difendersi, quell’aspettare la manifestazione del campanello d’allarme iniziale, azioni una serie di incomprensioni e di meccanismi di difesa che condurranno poi proprio alla fuga suggerita inizialmente dall’istinto.

Capita che poi, nel corso del tempo, quella persona si riavvicini, o noi ci riavviciniamo, e che entrambi si decida di fare un nuovo tentativo, un po’ perché in fondo il piacere di frequentarsi c’è, un po’ perché di fatto quella sensazione di pericolo e di paura non è razionalmente giustificabile. Dunque riprendiamo il discorso interrotto e cominciamo un dialogo attraverso il quale scopriamo dell’altro cose che ci piacciono ma tante altre che non riusciamo a tollerare e che ci portano a scontri di idee e reazioni sopra le righe dovute forse al fastidio di non riuscire a comprenderci… e così fuggiamo di nuovo. Nel secondo incontro abbiamo però fatto in tempo a renderci conto dell’esistenza innegabile di interessi in comune e cose che appassionano entrambi.

Allora perché è tanto difficile riuscire ad andare d’accordo?

Per quale motivo ciò che dovrebbe avvicinarci e creare armonia, genera invece timori e insofferenza?

E’ paura di ammettere qualcosa che non vogliamo vedere o timore di non vedere con chiarezza cose nascoste da un’attrazione forte che può mettere in secondo piano la necessità di un’affinità emotiva?

Perché dunque, nel corso del tempo torniamo sui nostri passi cercando di nuovo l’altro e l’altro risponde nonostante tutto?

In un tale meccanismo di fughe e ritorni, di chi insegue chi e di chi scappa per primo, dovremmo considerare una realtà che spesso sfugge perché difficile da razionalizzare: in alcuni casi ciò che sentiamo ci respinge dell’altro è qualcosa di noi che non siamo riusciti ancora a vedere o accettare. L’atteggiamento che più ci infastidisce, a guardare fino in fondo, è proprio lo stesso che abbiamo avuto inconsciamente noi con altri e che non abbiamo avuto il coraggio di osservare con lucidità o quello che istintivamente azioniamo quando siamo concentrati sul cosa fare. Ecco perché difenderci diventa prioritario rispetto allo scoprirci, ecco perché l’istinto gridava di fuggire quando in realtà sarebbe stato bello restare, ecco perché tanta paura di fermarci davanti a qualcuno con cui non riusciremmo a nascondere i meccanismi di difesa, di tutela, di protezione della nostra interiorità. Non avremmo potuto farlo perché li avrebbe compresi con chiarezza, non avremmo potuto fingere perché l’altro conosce perfettamente quel tipo di reazioni, essendo le stesse identiche attraverso le quali agisce.

Perciò di fronte a qualcuno che può leggerci dentro come davanti allo specchio e che noi, a nostra volta, leggiamo come se fosse un libro aperto, la paura vince sulla capacità di lasciarci andare e costruire un rapporto maturo che metterebbe a rischio molto di più di quanto ci sentiamo di fare. Fino al giorno in cui il processo evolutivo di uno o dell’altro, o di entrambi, cambia e si modifica al punto di non vedere più la complementarità come una minaccia, di non avere più paura di essere talmente simili da comprendersi a volte senza bisogno di parole, di non vedere più gli atteggiamenti dell’altro come un pericolo o qualcosa da combattere bensì solo come una muta richiesta di rassicurazioni, come un desiderio di condividere le similitudini e trovarvi condivisione.

Quello stesso giorno invece di lasciare spazio all’apparente facilità della fuga, forse diventerà molto più facile restare e condividere ciò che sapevamo già, in fondo a noi stessi, di poter fare, riconoscendo l’istinto iniziale solo come esigenza di prendere tempo per maturare la consapevolezza di poterci fermare, per un po’ o per tanto, davanti al nostro specchio.

 

Marta Lock