Esistono persone che sognano… e altre che pianificano… e poi esistiamo noi sospesi a metà tra il bisogno di certezze… e il desiderio che qualcosa arrivi a sconvolgerle…
Tutta la nostra crescita personale e professionale è orientata al raggiungimento di certezze, di sicurezze che ci facciano sentire al riparo da eventuali imprevisti, inconvenienti, situazioni non controllabili né gestibili. Dal punto di vista pratico questo tipo di posizione è indubbiamente la migliore poiché ci tutela dai piccoli e grandi terremoti che l’esistenza ci riserva e ci fornisce i mezzi per camminare eretti e sicuri sulle nostre gambe. Questa ricerca di stabilità ha però il suo prezzo in quanto, nella maggior parte dei casi, ci induce a rinunciare a quei sogni nel cassetto che ci hanno raccontato non potranno mai rassicurarci materialmente e quindi sono, e devono restare, sogni. Eccoci dunque concentrati a pianificare e prevedere ogni aspetto di quello che potrà essere il proseguimento del nostro percorso.
L’atteggiamento che abbiamo nei confronti degli aspetti più contingenti e concreti della vita, si espande anche alla sfera emotiva, perché in fondo abbiamo scoperto che muoverci all’interno di una zona sicura è molto meno rischioso che non lasciarci travolgere da tempeste interiori che possono sconvolgere il rassicurante bilanciamento che domina il nostro quotidiano. Dunque optare per qualcosa di più tiepido sembra essere la naturale conseguenza di questo tipo di approccio, perché in fondo non costituirà mai una minaccia a quell’equilibrio, a quelle certezze alle quali ci siamo aggrappati e grazie a cui, mattone dopo mattone, abbiamo edificato il nostro essere adulti, la nostra crescita, la nostra evoluzione. Con l’andare del tempo però quell’universo predeterminato in cui ci siamo racchiusi, quel mondo calmo dentro il quale ci muoviamo, inizia a starci stretto, ci appare quasi più come una gabbia dorata che non come un rifugio sicuro, perché nell’eccessiva stabilità si nasconde spesso la mancanza di stimoli, la carenza di una spontaneità che sembra perduta, ed emerge il desiderio di recuperare quel sogno, quel qualcosa di imprevisto, al quale avevamo rinunciato credendo che non fosse poi così importante.
È stata davvero la scelta giusta?
Siamo sicuri che quell’imprevedibile sia da evitare solo perché la sua presenza nella nostra vita costituirebbe una destabilizzazione?
Per quale motivo temiamo così tanto l’ipotesi di non poter avere tutto sotto controllo al punto di evitare che qualcosa di inatteso giunga per dare una scossa alla nostra esistenza?
E chi ci dice che qualcosa di sconvolgente non sia invece proprio ciò che ci manca per sentirci felici?
Il momento del dubbio, quello delle incertezze che mettono in discussione tutto ciò che fino a poco prima ci aveva racchiusi nel bozzolo della calma apparente, è fondamentale per comprendere che un percorso non deve necessariamente essere lineare per regalarci quella felicità a cui naturalmente tendiamo, che forse in quell’esigenza di pianificare e rendere tutto prevedibile si celava il timore di non essere in grado di accogliere un’emozione più travolgente. Poi però, dopo aver raggiunto il piano più alto del nostro castello di carte, quello dopo il quale possiamo solo restare fermi, non possiamo fare a meno di desiderare che arrivi quel soffio di vento che ci destabilizzi, quel terremoto a cui avevamo rinunciato che sgretoli le nostre certezze e ci spinga a ricostruire un nuovo ordine, un nuovo edificio su basi differenti, un punto di vista inedito e che ci ponga in un livello a metà tra stabilità e disequilibrio, tra certezze e sensazioni imprevedibili, tra mente e cuore.
E da lì ricominciare.
Marta Lock