Come ti chiami?

La fretta di dare un nome o una definizione a qualcosa… ci impedisce di assaporare il tempo… nel quale lentamente evolve prendendo la sua forma…

Molto spesso nel vivere contemporaneo ci lasciamo prendere dal ritmo accelerato di un mondo che sembra correre in avanti e nel quale sia necessario avere tutto sotto controllo, tutto ben definito, perché in fondo è rassicurante sapere che ogni tassello è ordinatamente al proprio posto, all’interno di uno spazio ben delimitato in cui muoverci senza il timore dell’incerto. Questa tendenza diventa una nostra seconda pelle a tal punto da indurci a credere che qualsiasi persona con cui abbiamo a che fare abbia il nostro medesimo punto di vista, quello apparentemente più comune o, in ogni caso, quello che ci consente di non dover procedere per tentativi, di non impiegare tempo prezioso nel dover comprendere ciò che si presenta come indefinito, non catalogabile, non rispondente a regole comuni in virtù delle quali poterlo inquadrare.

Certo, nell’ambito pratico questo orientamento è decisamente più facile da concretizzare perché in fondo gli obiettivi da raggiungere e il tempo per conseguirli dipendono da noi e dalla nostra volontà, dai nostri sforzi, per raggiungere velocemente l’obiettivo… o almeno questo è ciò di cui siamo fermamente convinti. Tuttavia molto spesso può capitare che, anche nel campo professionale o della realizzazione personale, appaiano ostacoli che fermano la nostra corsa verso la meta finale, ostacoli che a volte ci inducono a credere di dover gettare la spugna mentre in realtà potrebbero essere solo pause, parentesi di attesa prima di una nuova spinta in avanti. Perciò, nonostante l’impazienza generata dai ritmi frenetici della società moderna e acuita dal nostro desiderio di ottenere subito ciò per cui tanto abbiamo impiegato energie, siamo costretti a navigare per un po’ nel mare dell’incertezza, in quel limbo in cui dobbiamo necessariamente accettare di rallentare il ritmo e attendere il momento in cui quei blocchi, quegli ostacoli, vengano abbattuti per tornare finalmente a muoversi verso l’obiettivo.

In merito alle questioni personali, alle vicende sentimentali, tutto si complica perché siamo costretti a confrontarci con la volontà e con l’interiorità di un altro individuo, una persona con i suoi punti di vista, con esigenze e ritmi emotivi differenti dai nostri, qualcuno per cui andare avanti in una conoscenza può avere un significato diverso da quello in cui ci ritroviamo noi e quindi la nostra necessità di stabilire confini e determinazioni di tutto ciò che di giorno in giorno viviamo diventa difficile. L’indeterminazione che per noi è destabilizzante per l’altro può semplicemente essere un modo prudente di procedere; o ancora i freni nel definire con chiarezza la frequentazione, che a noi appaiono come un modo per non prendersi la responsabilità di condividere un percorso insieme, per l’altro possono semplicemente costituire una barriera necessaria a difendere un’interiorità ricca e profonda o ad ascoltarsi attentamente e comprendere l’intensità del sentimento prima di compiere un passo importante e definitivo dal quale non vorrebbe tornare indietro.

Perché sentiamo in modo tanto forte il bisogno di definire un indefinito che è bello e vitale proprio in virtù di quel suo evolversi lentamente?

È davvero così forte fin da subito il nostro sentimento oppure è più prevalente la nostra esigenza di sentirci rassicurati da una definizione, dal nome che vorremmo dare a quella sensazione iniziale, a prescindere dalla profondità delle emozioni?

Come mai siamo tanto spaventati dal lasciare che tutto maturi lentamente e altrettanto lentamente si consolidi andando in modo naturale verso la direzione che tanto desideriamo?

Spesso è proprio quell’impazienza innata a generare le insicurezze più profonde, come se solo per il fatto che l’altro non corra alla nostra stessa velocità evidenziasse la sua mancanza di intenzione a consolidare la frequentazione con noi. Eppure quella fretta di dare un nome a ciò che non può avere subito un’etichetta, una catalogazione, ci impedisce non solo di comprendere quanto il nostro stesso sentimento sia profondo o se lo sia abbastanza da farci davvero desiderare di costruire qualcosa di serio, ma anche di lasciare che l’altro abbassi le sue resistenze e compia in modo naturale quei passi verso una forma più completa del rapporto, verso una sinergia in cui niente deve essere chiesto perché tutto giunge spontaneamente e in cui le emozioni sono condivise.

E così quel nome, quella definizione, quella delineazione che tanto avevamo fretta di dare, si svela da sola e in modo molto più appagante di quanto avremmo mai potuto sperare.

 

 

 

Marta Lock