Così, per caso

La parte più difficile non è decidere se fare o non fare… la parte più difficile è assumersi la responsabilità… di averla fatta una scelta…

Ormai, dopo aver attraversato quel campo minato che è il corso della nostra esistenza, abbiamo compreso quanta poliedricità esiste nel mondo degli esseri umani e constatato, perché più volte ci è capitato di imbatterci in determinate situazioni, che esiste un indefinito spartiacque tra soggetti più propositivi, che prendono in mano le redini delle cose e delle situazioni agendo perché è nella loro natura farlo, e altri invece che preferiscono siano gli altri a esporsi e muovere azioni perché non rientra nel loro modo di essere il prendere iniziative. Abbiamo anche accettato quella strana legge per la quale gli opposti si attraggono o, quanto meno, ci si sente spesso attratti da chi è molto diverso dal nostro modo di agire, un po’ perché altrimenti dovremmo ricoprire un ruolo che non ci appartiene, un po’ perché si cerca sempre di ottenere ciò che ci sembra più irraggiungibile ed enigmatico.

Perciò, ben consci di quale sia la riva alla quale apparteniamo, sappiamo di doverci adeguare e andiamo avanti di conseguenza. Se rientriamo nella categoria dei decisionisti ci troviamo a nostro agio nell’essere quelli che parlano di più, che sono consapevoli delle proprie emozioni e di come comunicarle, che confessano in modo diretto e inequivocabile, le intenzioni e le scelte che vorremmo fare. Di contro gli altri, quelli più fermi che fanno del non detto e del lasciato intendere la loro condizione naturale, si sentono sollevati perché tutto ciò che pensano e fanno è soggetto a una doppia interpretazione che lascia loro aperta una via di fuga, un equilibrismo tra il sì e il no da cui tenersi la possibilità di negare affermando e di affermare negando. E questo loro gioco ci intrappola, ci lega, ci affascina al punto di indurci sempre di più a fare dei passi verso il comprendere, il leggere tra le righe, l’interpretare segnali e frasi buttate lì apparentemente per caso ma che regolarmente sortiscono l’effetto voluto cioè quello di portarci a esporci, interpretando il desiderio dell’altro.

Perché per alcuni soggetti è così difficile prendere l’iniziativa?

Per quale motivo, se si vuole qualcosa, anziché prenderselo fanno intendere all’altro di volerlo portandolo a fare una scelta per entrambi?

E’ davvero così terribile decidere autonomamente e comportarsi in modo coerente rispetto alla decisione presa?

Come mai se i decisionisti restano fermi gli esitanti fanno dei piccoli passettini in avanti per dimostrare, o meglio lasciar intendere, ciò che vorrebbero ma mai prendendo una posizione definita?

La parola chiave di tutto questo domandarci sembra essere una sola: responsabilità. Se si assume un atteggiamento attivo, determinato e inequivocabile, è chiaro che si è anche consapevoli di farsi carico della scelta, del successo e del fallimento di qualcosa, sia che si tratti di cose pratiche, sia che si tratti di questioni emotive, e questo spesso fa paura. Fa paura perché lo sbaglio viene visto come un fallimento, paura perché l’incertezza che sembra essere parte integrante della mentalità di alcuni è delimitante e li porta a stare ben sicuri all’interno della loro zona di comfort, quel guscio ovattato dentro cui non c’è possibilità di esporsi a nessun rischio. E fa paura, e anche molta, a chi dietro questa esitanza nasconde invece un gioco ben macchinato per togliersi dall’impaccio del sentir recriminare, o del sentirsi puntare il dito per aver detto o fatto cose da cui poi vuole potersi tirare indietro, se le circostanze lo rendono necessario.

Ma noi decisionisti ormai non giochiamo più a quel gioco e ricordiamo perfettamente gli atteggiamenti con cui ci hanno indotti ad agire perciò, al di là delle parole non dette e delle cose non fatte, delle interpretazioni che abbiamo dato ai loro comportamenti cuciti ad arte per portarci esattamente dove hanno voluto loro, li riconduciamo mani e piedi dentro il loro gioco facendogli capire che abbiamo perfettamente compreso cosa stavano tentando di fare, che siamo stati noi ad assecondarli, che hanno potuto vincere solo perché glielo abbiamo concesso. E così, mettendo un punto al nostro agire ma spiegandogli esattamente e chiaramente – noi – il perché, li poniamo nelle condizioni di prendere una posizione, assumersene la responsabilità oppure lasciare, mollare il colpo e andare verso qualcuno che non ha ancora capito, che non sa ancora come aggirare le sabbie mobili, che non è ancora in grado di districarsi dalla rete che lanceranno.

Perché a noi, in fondo, nel bene e nel male, piace prenderle le decisioni, ovunque conducano.

 

Marta Lock