E adesso che succede?

Ogni cosa che finisce…ogni situazione che si chiude…porta via la parte di noi che aveva creduto e lottato…ma lascia venire alla luce…quella che vuole buttarsi in un nuovo inizio…

Tutti prima o poi ci troviamo a fare i conti con una chiusura, con la fine di qualcosa che aveva rappresentato la normalità, la quotidianità, e caratterizzato la nostra esistenza fino a poco tempo prima. Tutti credono che affrontare le conseguenze della scelta sia molto più semplice per chi, tra le due parti della coppia, prende la decisione, perché si ritiene, in modo completamente errato, che sia anche quella che non subisce alcun colpo per la fine della relazione, o che ne esce vincente e forte, lasciando l’altro, la vittima, in un dolore inconsolabile, senza averlo provocato né meritato.

Perché, nell’immaginario comune, chi mette la parola fine a una relazione, non ne soffre affatto?

Come si può credere che l’unica a fare le spese della chiusura di una storia sia solo e unicamente la parte che la subisce?

Per quale motivo colui che prende la decisione viene considerato il fortunato che ha potuto scegliere, dando per scontato che il suo percorso successivo sarà in discesa, mentre chi viene abbandonato avrà davanti una durissima salita?

In realtà la parte della coppia che arriva alla decisione di dire basta in modo definitivo e assoluto, con molta probabilità esce da un lungo, faticoso e doloroso periodo durante il quale la scelta è stata ponderata, soppesata, rinviata e analizzata un milione di volte; in alcuni casi il processo di presa di coscienza può essere durato mesi, in altri addirittura anni, durante i quali ha iniziato con il chiedersi cosa stesse succedendo, cercando di giustificare il distacco dal partner con un periodo di stanchezza, di insofferenza dovuta a cause esterne, in seguito ha analizzato uno a uno i propri sentimenti e le motivazioni che ne potevano aver provocato il loro affievolirsi e il successivo spegnersi, per poi fare i conti con la consapevolezza che forse una motivazione razionale non c’era.

E ancora è passata attraverso la fase nella quale cercava disperatamente un motivo, anche uno solo per aggrapparsi alla persona che aveva fatto parte della sua vita per tanto tempo, raccontandosi quanto sbagliato potesse essere perderla; infine ha dovuto affrontare il senso di sconfitta generato da tanti tentativi, pensieri, e battaglie interiori, falliti perché ha raggiunto la consapevolezza che, in assenza di sentimenti, non c’era più niente da salvare. Ha dovuto sopportare il peso della responsabilità di una decisione che avrebbe provocato grande sofferenza alla persona con la quale aveva condiviso tutto, gioie e dolori, speranze, emozioni e progetti, accompagnata dall’impotenza di non essere capace di impedirlo.

Il momento della fine di un rapporto, soprattutto se al termine di una relazione molto lunga, causa in chi compie la scelta, un’enorme paura del futuro, di non essere capace di ributtarsi nella mischia, di sapere a cosa sta rinunciando e non avere idea di cosa dovrà affrontare, con quale tipo di persone dovrà relazionarsi, sentimenti che appartengono anche a chi subisce il distacco ma, nella parte attiva della decisione, permarrà sempre quel terribile senso di colpa che la farà vivere, per molto tempo, nel terrore di provocare quella stessa profonda sofferenza, alle altre persone con le quali intreccerà delle relazioni di tipo sentimentale che la immobilizzeranno in un’astinenza emotiva molto simile a un’autopunizione. Durante quel lungo periodo di disorientamento potrà assistere, spesso con sollievo e gioia, allo sbocciare di un nuovo amore per il partner abbandonato, ritenuto molto più meritevole di trovare presto qualcuno che lo sollevi dal dolore, ne conquisti la fiducia e lo aiuti a lasciarsi andare di nuovo.

Poi però, dopo una fase più o meno lunga durante la quale sceglie di non concedersi emozioni per non ferire nessuno, di non aprirsi a nessuna conoscenza e incontro per non dover di nuovo essere l’artefice di un distacco, si rende conto che non è attraverso le chiusure, le paure, i dubbi che può superare il senso di colpa per il dolore inflitto e ributtarsi nel mondo e nella vita, bensì soltanto liberandosi e assolvendosi dalla responsabilità di una decisione necessaria e inevitabile e aprendosi al desiderio di ripartire, che potrà far uscire quella parte di sé che avrà voglia di ricostruire, di buttarsi nel futuro senza la rete imprigionante dei rimorsi, di considerare la fine non nella accezione negativa del termine, ma come opportunità di un nuovo entusiasmante inizio.

 
Marta Lock