Fino all’alba

Il vuoto con cui più difficilmente riusciamo a convivere… è quello che intercorre tra la fine di qualcosa… e l’attesa dell’arrivo di un nuovo inizio…

Ebbene sì, dobbiamo seppur non volendolo, imparare a convivere con l’innegabile certezza che la maggior parte delle cose, delle vicende della nostra esistenza, abbiano un inizio ma anche una fine. Spesso l’epilogo è un macigno difficilissimo da mandare giù, in altri casi invece si è rivelato un sollievo, un nuovo respiro dopo un periodo buio, o tempestoso, o conflittuale, perché è questo lo stato d’animo che ci assale quando stiamo prendendo o subendo la decisione di una chiusura. Laddove accettare la fine di qualcosa che aveva riempito la nostra vita può essere già difficile di per sé, anche quando si rivela inevitabile per il benessere psico-fisico nostro e di chi ci sta accanto, convivere con quel lungo periodo che dobbiamo necessariamente lasciar passare per superare il lutto emotivo che ne consegue diventa invece molto più difficile e complicato di quanto avremmo mai immaginato.

La destabilizzazione di doverci ricollocare e reinventare un’esistenza totalmente nuova, modificare le abitudini acquisite da tanto, o poco non importa il tempo, tornare a pensarci come singoli e non più come parte di una coppia può essere molto più difficoltoso del previsto, anche se siamo stati i protagonisti della scelta, perché trovarsi da soli, crescendo, non è più tanto piacevole come quando eravamo più giovani. E anche se facciamo i forti davanti al mondo, anche se sfoderiamo la gioia della libertà ritrovata, anche se gridiamo ai quattro venti che è tutto passato, che stiamo bene e che la nostra nuova vita ci piace, in realtà quando ci troviamo davanti allo specchio implacabile della nostra interiorità sentiamo un vuoto. Un vuoto la cui eco si aggrappa a noi e sembra volerci seguire anche quando dovremmo pensare ad altro, quando non vorremmo ricordare né ammettere di aspettare qualcuno che riempia quel vuoto.

Perché a volte è così difficile sopportare un momento di solitudine?

Come mai il sollievo che a volte sentiamo quando chiudiamo qualcosa che non ci fa stare bene diventa, in modo via via più incisivo, un disagio per la mancanza di emozioni che lo stare da soli porta con sé?

Per quale motivo non riusciamo a leggere le righe della solitudine come un momento prezioso nel cammino della nostra crescita, necessario per comprendere i perché del passato, per interiorizzare la perdita e acquisire l’autocoscienza necessaria a ricominciare non appena ci sentiremo di nuovo pronti?

Non è facile accettare la momentanea assenza di emozioni come una fase della nostra crescita interiore; molti di noi tendono a distaccarsi da esse credendo che sia così più facile superarne l’assenza, altri invece rimpiangono ciò che è stato idealizzandolo fino a dimenticare i motivi dell’allontanamento. Entrambi sono atteggiamenti che non consentono l’accettazione della fine come una preziosa fase di conoscenza di sé, perché i primi rifiutano di guardarsi dentro e prendere coscienza del dolore che segue qualunque chiusura a prescindere dalle motivazioni, mentre i secondi si aggrappano a qualcosa che non c’è più e non tornerà, impedendosi di guardare con maturità al presente e aprire la porta a un futuro che potrebbe dimostrarsi immensamente migliore del passato.

Prendendo la pausa semplicemente come un momento della nostra esistenza, quella strana altalena di gioie e tristezze, di pienezza e di mancanze, e guardando alle nostre spalle tutte le volte che ci siamo sentiti immensamente soli ma poi subito dopo qualcosa ha cambiato completamente la prospettiva, sapremo accogliere la calma e le riflessioni che accompagnano il momento di incontro con noi stessi, non più quindi vissuto come una triste solitudine o come un ostentato benessere tanto poco realistico quanto non credibile a lungo andare, e cresceremo accettando l’attesa di qualcosa di nuovo.

E, alla fine di questo percorso di consapevolezza assolutamente indispensabile e, in fondo anche sano, ci sentiremo di nuovo pronti a uscire dalla notte della solitudine e guardare il sole sorgere all’orizzonte della nostra nuova alba.

 

Marta Lock