Molto spesso per evitare gli errori del passato… ne commettiamo altri che compromettono il nostro futuro…
Quante volte abbiamo detto a noi stessi che non avremo mai più fatto una determinata cosa che aveva provocato una serie di conseguenze con cui non vogliamo mai più avere a che fare?
In quante occasioni ci siamo trovati davanti all’evidenza di aver commesso un errore talmente grande da averci indotti a chiuderci completamente a tutto ciò che in qualche modo ci portava alla mente quella macchia?
Perché allora, nonostante procediamo spediti e coscienti dell’esperienza del passato, ci sembra comunque di muoverci sul terreno molle del dubbio, anche se tentiamo di stabilizzarci passo dopo passo?
Cos’è che ci induce a credere di aver trovato il modo migliore, la formula più corretta, per procedere e affrontare gli episodi futuri che ci si apriranno davanti?
Il percorso all’interno del vivere è un terreno instabile e mutevole, molto simile alla sabbia del deserto che modifica la sua forma e le sue dune in modo perpetuo in base al soffiare del vento caldo rendendo il divenire l’essenza stessa dell’essere. Il nostro esistere non è poi molto differente perché le trasformazioni alle quali siamo sottoposti ci costringono ad adattarci a situazioni sempre nuove, differenti e davanti alle quali non si può formulare una legge su come affrontarle, una regola universale che valga per tutti, per sempre, in ognuna delle occasioni appena leggermente simili alle nostre precedenti o a quelle di altri con cui ci confrontiamo e che ci fanno sentire accolti nella condivisione dell’esperienza che è in fondo somigliante alla nostra. Di più, noi stessi a distanza di anni non saremo mai, perché l’immobilità non appartiene alla natura dell’essere umano, uguali nel sentire, nel reagire, nel confrontarci e nell’affrontare situazioni che a una prima occhiata possono riportarci indietro nel tempo, poiché seppur non possiamo non accettare la realtà che quello stesso tempo sia passato, dobbiamo arrenderci all’evidenza di non essere oggi quelli che eravamo ieri.
A livello istintivo tuttavia, laddove l’istinto diviene un mezzo consequenziale a un ragionamento, una meditazione della quale abbiamo convinto noi stessi, e a volte anche gli altri, reagiamo evitando di compiere gli sbagli del passato, quelli che in una specifica situazione ci avevano fatti decidere che un determinato comportamento sarebbe stato sempre e universalmente errato. Sì perché a volte nella nostra paura di sbagliare di nuovo siamo talmente ingenuamente presuntuosi da convincerci che ciò che va bene per noi, vada bene per tutti, che ciò che abbiamo dedotto una volta è ciò che varrà per sempre e che dovrebbero arrivare a capire tutti. Siamo talmente persuasi di aver trovato la formula che ci aiuterà a sapere quale sia la cosa giusta da fare da perdere di vista un dettaglio fondamentale, e cioè che la cosa giusta non c’è. Questo perché gli individui che di volta in volta incontriamo nel nostro cammino sono persone uniche, sfaccettate e differenti da noi e da chiunque altro, proprio perché la bellezza dell’essere umano risiede nell’imperfezione dell’individualità, nelle differenze che contraddistinguono ognuno, nella singolarità di pregi e difetti, di manie e di fissazioni, di azioni e di reazioni che rendono il mondo delle interrelazioni instabile quanto la superficie del deserto, pieno di granelli di sabbia in perenne movimento, in continua evoluzione, in costante trasformazione.
Eppure, nonostante le nostre convinzioni, non riusciamo a non continuare a commettere errori, non possiamo non trovarci ad ammettere che forse, nella nuova esperienza, se ci fossimo comportati nel modo che avevamo ritenuto di non dover ripetere, basandoci sul passato, forse le cose sarebbero andate diversamente. E non possiamo non considerare l’evidenza di trovarci ancora una volta a dover rimettere in discussione tutto, ricominciando a cercare una nuova verità assoluta che ci indichi la strada giusta, la corretta via per non sbagliare più. Fino al giorno in cui, correzione dopo correzione, riflessione dopo riflessione, siamo costretti ad arrenderci alla mutevolezza di tutto ciò che accade, che viviamo, e dell’assoluta singolarità delle persone che incontriamo; quello sarà il giorno in cui sapremo che tutto ciò che possiamo fare è lasciarci andare e vivere.
E il rumore del tempo sarà solo un sottofondo, una colonna sonora di quell’esistenza che ci sta dicendo di non voler essere imprigionata dentro regole, schemi e canoni che sono troppo relativi per poter diventare assoluti.
Marta Lock