Inaccettabili rigidità

A volte la rigidità non è una scelta… bensì la conseguenza di esperienze vissute che inevitabilmente ci hanno insegnato a valutare ciò a cui possiamo passare sopra… e ciò che invece riveste un ruolo molto rilevante nella nostra visione delle cose…

Nel momento in cui incontriamo qualcuno, soprattutto se la conoscenza avviene in un’età in cui la nostra personalità è già strutturata, in cui abbiamo affrontato e superato tempeste emozionali e pratiche, in cui in sostanza siamo riusciti a raggiungere qualcosa di vicino alla maturità, sebbene le evoluzioni e le nuove scoperte possano susseguirsi persino l’ultimo giorno del cammino della vita, in quel momento dicevo l’altro si trova davanti ad alcuni punti fermi, ad alcuni princìpi per noi irrinunciabili. Malgrado la volontà di essere aperti alle trasformazioni che qualsiasi incontro o interazione portano con sé, non riusciamo però a fare a meno di quei presupposti che si sono stratificati in noi nel corso delle esperienze precedenti e degli incontri che hanno fatto parte della nostra vita contribuendo con il loro passaggio ad arricchire la nostra esperienza, la conoscenza di noi e di ciò che davvero vogliamo.

Può succedere in questi casi che chi interagisce con la nostra sfera esistenziale, o vi entra per un periodo più o meno breve, ci accusi di poca elasticità, di scarsa capacità di comprendere che molto spesso ciò che a noi appare negativo o poco tollerabile faccia invece parte in maniera naturale dell’altro, senza che per lui abbia la medesima gravità che riveste per noi. Questo ci conduce a fare una profonda riflessione, valutando la possibilità di derogare a quei punti fermi che forse effettivamente sono eccessivamente inflessibili, talmente saldi nella nostra personalità da poter costituire un limite, un ostacolo a quella morbidezza evolutiva che da sempre inseguiamo e ricerchiamo. Dopo un ragionevole periodo di tempo ci troviamo però a constatare che quei fondamenti da cui abbiamo tentato di allontanarci sono in realtà così radicati in noi, così tanto appartenenti al nostro modo di essere e di vedere le cose, da essere imprescindibili dalle persone che desideriamo diventare e dai percorsi di vita che vogliamo intraprendere. A quel punto ci troviamo davanti a un dilemma poiché da un lato c’è la nostra struttura di adulti che costituisce una base importante che si è generata ed edificata dalle esperienze precedenti, dal vissuto e dalla consapevolezza di ciò che può far parte della nostra vita e cosa non può invece entrarvi, dall’altro il desiderio di comprendere e accettare l’altro per come è, compreso ciò che appartiene al suo percorso e alla sua struttura.

Qual è a quel punto la cosa giusta da fare?

Restare fermamente attaccati ai nostri princìpi all’interno dei quali ci sentiamo a nostro agio perché scelti rispetto a molte altre opzioni, oppure cercare di prendere l’altro esattamente per come è malgrado alcuni aspetti non riusciamo davvero ad accettarli?

Per quale motivo dovremmo modificare ciò che nel tempo ha costituito uno spartiacque importante e che ha determinato la direzione per noi più giusta?

E, di contro, chi siamo noi per chiedere all’altro di modificare ciò che proprio non possiamo far entrare nella nostra dimensione esistenziale, quando noi siamo i primi a non volerci adattare?

Mettersi in discussione è un nodo fondamentale dei rapporti interpersonali, soprattutto quelli che diventano in qualche modo, e malgrado tutto, importanti quindi nel momento in cui subentra un desiderio di consolidamento della relazione interpersonale non si può fare a meno di cercare un punto di incontro, di avvicinarsi e comprendersi reciprocamente ammettendo che un rapporto non può essere vissuto attraverso barricate o giochi di forza né dell’uno né dell’altro. Le due parti dovrebbero diventare tanto aperte e indulgenti da capire quando qualcosa sia davvero essenziale e irrinunciabile e stabilire l’esistenza di una terra di mezzo, di un confine in cui uno dei due si adatti all’imprescindibilità del primo e il primo ceda e si arrenda all’inderogabilità su altri punti saldi del secondo.

E questo perché comprendersi senza giudicarsi e senza recriminare sui pregi e difetti reciproci è il modo migliore per costruire un rapporto che conduca entrambi verso quell’evoluzione positiva di cui l’essere umano si nutre.

 

 

Marta Lock