Una parola può rovinare un attimo prezioso… tanto quanto un silenzio ha la capacità… di renderlo eterno…
Molto spesso ci capita di avere a che fare con quella tipologia di persone che sentono il bisogno, più per se stesse che per gli altri, di mettere i puntini sulle i, di definire e dare un nome a qualcosa anche se non gli abbiamo mai manifestato la necessità di farlo. O, se anche abbiamo espresso il nostro punto di vista, magari anche diverso dal loro sulla situazione che stiamo vivendo e sul modo in cui vorremmo viverla, ciò non significa che non siamo in grado di rispettare quello di un altro individuo. Dunque il ribadire il concetto già espresso diventa inutile, superfluo e toglie spontaneità ai momenti che stiamo condividendo.
E la cosa ancora più assurda è che se non ci fosse quell’impellente esigenza dell’altro di dover puntualizzare ciò che non è necessario, lo stare insieme sarebbe talmente piacevole da sfiorare l’armonia più totale. Ma, all’improvviso, nel momento meno opportuno e più impensato, ecco spuntare la fastidiosa precisazione, quel mettere le mani avanti che non ha alcun senso se non quello di far crollare, in una frazione di secondo, la piacevolezza avvertita fino a prima di pronunciare quella frase pesante che aleggia nell’aria. Ovviamente la nostra reazione nell’ascoltarla non può che essere di fastidio perché tutto sarebbe perfetto se non subentrasse un ostinato bisogno di controllo dell’altro, perché il vissuto era magico fino a quando l’altro non ha estratto il suo evidenziatore mentale e ha voluto denominare qualcosa a cui non era necessario dare un nome.
Per quale motivo per alcuni è tanto rassicurante dare una definizione a qualcosa che per propria natura, quella emotiva, di definizioni non ne ha?
Come mai a volte queste persone preferiscono togliersi la possibilità di lasciarsi andare anche a rischio di perdere qualcuno con cui si trovano tanto bene?
E’ davvero così importante determinare i margini di ciò che in realtà non ne può avere, né nel momento presente né tantomeno in quello futuro?
Non sarà solo una grande, enorme paura, di perdere il controllo?
Forse il problema è proprio il desiderio di controllo, quell’esigenza di gestire l’individuo che più destabilizza proprio perché le sensazioni che suscita sono forti e intense, così tanto da far sentire minacciato chi non è capace di convivere con la propria emotività. Forse le ferite del passato ancora sanguinano e così è più rassicurante dire, solo per sentirne il suono, che il legame non può essere ufficiale, perché non si è capaci, perché non si è pronti, perché i sentimenti forse non sono abbastanza forti. Questo con la bocca. Poi però le azioni rivelano tutt’altro, svelano il desiderio di sentirsi, di confrontarsi, di scontrarsi anche, piuttosto che stare a lungo lontani, semplicemente perché il tempo ha raccontato la sua di storia e ha sussurrato che è sempre stato impossibile rinunciare a quel legame.
E noi, che siamo capaci di andare oltre le parole, di pesare molto di più i fatti, e che abbiamo visto quanto sia stato difficile rimanere separati, quanto anche l’altro, che tanto si premura di mettere dei freni che in realtà a sua volta non rispetta, non sia riuscito a starci lontano nonostante la nostra presa di posizione a volte netta, abbiamo compreso, abbiamo accettato le incongruenze, abbiamo scelto di guardare gli occhi piuttosto che ascoltare parole che dopo un secondo volano via come il vento.
E anche se spesso ci innervosiamo per la singolare quanto inutile necessità di rovinare momenti belli, divertenti, coinvolgenti, solo e unicamente per un terrore inconfessato di perdere il controllo, anche se chiediamo a gran voce un semplice silenzio perché tanto poi comunque seguirebbe nell’attimo appena successivo a quello in cui le solite e abituali frasi devono, per l’altro, essere pronunciate, noi, nonostante tutto, riusciamo comunque a restare ancora lì, consapevoli che la persona stessa si pente nell’istante stesso in cui vede la reazione che ha provocato, forse proprio perché ha bisogno, di nuovo, di sentirsi ripetere che la vita va vissuta, non riempita di parole incoerenti con i fatti.
Forse il suo bisogno di noi viene anche da quella nostra fermezza nel ricordargli quanto non sia importante dare un nome a qualcosa bensì respirarne le sfumature, apprezzarne il l’intensità, ora, adesso, nel momento presente, perché tra il parlare e il vivere, gli stiamo insegnando che è molto più bello vivere.
Marta Lock