Esistono sensazioni che ci hanno turbati… ed emozioni che ci hanno travolti… e dopo tutto restiamo noi… più forti eppure con il timore di metterci in gioco…
Alcuni terremoti emotivi sono stati capaci di lasciare un profondo solco nella nostra memoria e nella nostra anima, tanto da aver modificato alcuni modi di vedere le cose che mai avremmo creduto potessero essere modificabili. In particolari casi abbiamo letteralmente avuto la sensazione di esserci trovati dentro l’occhio di un ciclone dal quale siamo poi stati sbalzati fuori e lasciati in terra, costretti a trovare un modo per ricomporre i pezzi di un’interiorità che ne è uscita lacerata. Poi ci sono stati quegli episodi in cui, al contrario, non siamo riusciti a vivere, se non in modo decisamente superficiale, la profondità che la sensazione ci spingeva a desiderare ma che in realtà non si è mai concretizzata, o rivelata tale, o manifestata in modo bilaterale.
In altre situazioni invece tutto è andato come immaginavamo e come desideravamo, quasi perfetto fino a quando noi o l’altro, o addirittura entrambi, abbiamo cominciato a sentir terminare giorno dopo giorno, quell’emozione forte che credevamo sarebbe durata per sempre; anche in quel caso abbiamo dovuto fare i conti con un lutto emotivo che, sebbene in questo specifico caso reciproco e consumato fino all’ultima goccia, ha seguito la chiusura di un qualcosa che è comunque stato importante. Dunque ci siamo di nuovo rialzati, perché una fine che sia scelta o subìta determina in ogni modo una disillusione delle aspettative che erano nate durante un inizio, e abbiamo ricostruito una nuova identità emotiva, più consapevole ed equilibrata ma comunque memore di ciò che è andato perduto.
Ovviamente tutti questi alti e bassi, tutto questo dover continuamente rinascere dalle nostre ceneri, rafforzano notevolmente la consapevolezza di esserci rialzati talmente tante volte da essere diventati via via più forti e veloci nella ripresa da una delusione, da una chiusura, da un disincanto che ci rende più razionali e lucidi in ogni approccio successivo. Ecco perché ci ritroviamo di giorno in giorno più restii a lasciarci andare, più diffidenti, più timorosi di dover di nuovo fare i conti con una chiusura a cui ormai siamo abituati, a una delusione che in fondo ci lascia sconfitti, a un dover lasciare andare che ci induce a preferire di non avere già in partenza, piuttosto che dover riscrivere sempre la medesima storia.
È giusto lasciare che i trascorsi emotivi compromettano la capacità del presente di lasciarci di nuovo andare per provare sensazioni che, per poco o per tanto, potrebbero renderci molto felici?
Perché la paura che le cose possano andare come in passato, dovrebbe chiuderci alla possibilità di scoprire che invece potrebbero essere diverse?
Come mai ciò che è stato ci ha fatto alzare una barriera a protezione di un’interiorità che tende a chiudersi sempre di più in se stessa?
È davvero questo che vogliamo? La solitudine emotiva?
Ricominciare è sempre un percorso difficile, perché l’essere umano in fondo è abitudinario e ama costruirsi delle certezze, dei punti fermi che divengano il suo riferimento; quando tutto ciò viene meno è complicato riprenderci da quel ventaglio di sensazioni e di riflessioni che indubbiamente ne conseguono. È altrettanto vero che la consapevolezza di essere più forti e certi di cosa vogliamo e di cosa, al contrario, non possiamo far entrare nella nostra esistenza, rende le possibilità di sentirci coinvolti con qualcuno via via più scarse perché in fondo è anche giusto così. Si va avanti per tentativi per riuscire a capire ciò che davvero va meglio per noi, anche questo fa parte della crescita emotiva.
Eppure l’autodifesa non dovrebbe mai farci perdere la capacità di emozionarci, di confessare di avere paura e tendere la mano verso qualcuno che la saprà stringere e tenere stretta finché quel timore non svanirà, dissolto da un turbamento tanto intenso da farci sentire bene come non mai e da un’emozione tanto travolgente da farci tremare le gambe, ancora una volta. Non dovremmo mai smettere di voler camminare tenendo quella mano fiduciosi che potrebbe non lasciarci più, di credere di poter andare insieme verso un domani, e di pensare che in fondo se in precedenza non ci eravamo fermati, potrebbe essere che dovevamo attendere quella storia nuova non ancora arrivata e a cui stiamo tanto pensando di dover resistere, ma che potrebbe rivelarsi quella giusta per noi.
Marta Lock