Iniziare a parlare sottovoce…spesso è il modo migliore…per predisporre gli altri a un attento ascolto…
Molti di noi sono convinti che sia necessario entrare in un posto spalancando la porta sicuri, quasi come se gli fosse dovuto, che in quel modo tutti i presenti all’interno della stanza si volteranno a guardare il loro ingresso. Da un certo punto di vista questo può verificarsi più che altro grazie al fattore sorpresa ma non certamente dall’interesse reale suscitato da chi sta effettuando un ingresso tanto trionfale; subito dopo aver catalizzato l’attenzione e aver focalizzato gli sguardi verso il rumore sentito però, nel caso in cui l’effetto non sia seguito da un’adeguata sostanza, la bolla si sgonfierà improvvisamente. Allo stesso modo assistiamo continuamente in molti episodi quotidiani a dialoghi che si trasformano immediatamente in controversie o attacchi durante i quali le persone alzano la voce più degli altri per sovrastarli convinti così di prendersi la ragione, quasi come se parlare fosse ormai diventato una gara, una competizione, e l’altro un antagonista sul quale dover vincere a tutti i costi piuttosto che qualcuno con il quale avere uno scambio di opinioni rispettoso e civile.
Nel mondo contemporaneo si è sviluppata la strana quanto incomprensibile tendenza a voler ottenere immediatamente il risultato a prescindere dalle capacità oggettive di poterlo conseguire, un po’ perché tutto sembra essere diventato facile e alla portata di chiunque, un po’ perché siamo stati diseducati a lavorare duro per meritare ciò che tanto desideriamo, quasi come se ci fosse dovuto solo per il fatto di volerlo. Abbiamo perso il concetto fondamentale di rimboccarsi le maniche e arrivare preparati alle prove, incantati dalla sirena del successo che molto spesso non fa rima con talento o con capacità di costruirsi la conoscenza necessaria ad arrivare proprio dove vogliamo. Quindi ci sembra quasi normale alzare la voce e fare rumore per avere attenzione, sicuri che gli altri debbano ascoltarci solo perché il tono è più alto rispetto a quello di chi ci sta intorno e non perché stiamo dicendo qualcosa di veramente interessante e soprattutto senza avere quella fondamentale dote di autocritica necessaria a renderci conto che forse ciò che vogliamo dire non è alla portata o commisurato al bagaglio culturale o formativo che abbiamo costruito nel nostro percorso e che quindi non siamo in grado di meritare di avere. Ma gli esempi che abbiamo davanti agli occhi ci portano a credere che tutto sia possibile e che se sgomitiamo per predominare a discapito della voce degli altri facendo della prepotenza e in casi estremi dell’arroganza il mezzo per raggiungere il tanto desiderato obiettivo pensiamo di riuscire a far credere al mondo di essere molto di più di ciò che in realtà siamo.
Perché abbiamo perso il gusto e il piacere di lavorare duro e conquistare passo dopo passo ciò che desideriamo?
Che cosa ci fa essere tanto convinti che sovrastando le voci degli altri li metteremo automaticamente nella condizione di volerci ascoltare?
Non è forse meglio parlare a bassa voce, o mantenere anche il silenzio se necessario, per far sì che le persone si interessino a ciò che stiamo cercando di far capire?
Questo discorso può essere esteso anche a un percorso di crescita professionale o personale nel quale non abbiamo avuto fretta di arrivare subito in alto preferendo un’ascesa lenta che sapevamo ci avrebbe permesso di consolidare passo dopo passo, come un mattone sopra l’altro, la nostra formazione fino a camminare più spediti e salire i gradini che ci portano verso l’alto i quali, grazie al nostro lavoro, non sono pericolanti o a rischio di rottura come i pioli di una scala di legno bensì solidi e ben piantati in terra come i larghi gradini in pietra che possono rimanere in piedi e costituire un appoggio sicuro anche durante un terremoto. A quel punto non avremmo alcun bisogno di gridare per essere ascoltati perché il percorso che abbiamo effettuato ci porterà naturalmente a essere rispettati per la serietà che abbiamo dimostrato e per la stima che riceviamo per non essere scesi a compromessi scegliendo la strada più breve che ci avrebbe sì proiettati subito in alto ma con il rischio di aver messo i piedi sul piolo di legno incrinato e pericolante che al primo passo falso avrebbe potuto rompersi e farci precipitosamente ricadere esattamente nel punto dal quale eravamo partiti.
Eppure, nel caso in qui scegliamo il percorso più lungo, quello che ci porta a scegliere il silenzio per far sì che le persone inizino a notarci e ad ascoltarci, durante il quale l’obiettivo quasi non è risultato finale ma piuttosto il percorso importante di formazione che lentamente ci porta a un’importante crescita, ci sembra di dimenticare ciò per cui stiamo lottando che a sua volta sembra non arrivare mai, quasi come se quando ci stiamo avvicinando la meta si allontani e metta una nuova distanza da colmare mentre in contrapposizione quelli che avevano gridato sembrano essere lì in cima e ben saldi…ma un giorno all’improvviso tutto ciò per cui avevamo tanto lottato e duramente lavorato si verificherà e tutti coloro i quali inizialmente non ci ascoltavano e non dimostravano interesse in ciò che stavamo dicendo magicamente volgeranno l’attenzione su di noi, prima distrattamente poi con interesse via via crescente e non perché abbiamo di punto in bianco deciso di fare più rumore, semplicemente perché la lenta e solida costruzione del nostro percorso ci avrà portati a dimostrare il nostro valore.
E a quel punto il nostro modo di fare discreto, sottotono, quasi di basso profilo rispetto alle nostre reali capacità, contrapposto a quello di chi invece si era imposto in modo altisonante senza avere la sostanza per sostenere il ruolo che desiderava ricoprire, pagherà e ci farà guardare e considerare dagli altri per l’affidabilità che abbiamo dimostrato di avere…dimostrandolo appunto, sottovoce, finché gli sguardi non hanno iniziato a sollevarsi verso di noi, vedendoci, e le orecchie non hanno iniziato ad ascoltare con attenzione il rumore silenzioso che abbiamo prodotto.
Marta Lock