Ciò che le parole non dicono

In alcune circostanze l’esigenza più forte… è quella che fingiamo di ignorare… per la paura che non venga appagata…

Vivere nella società contemporanea non è affatto semplice perché molto spesso ci mette di fronte a ostacoli, delusioni, disillusioni, che ci inducono a chiudere la nostra fragile interiorità all’interno di una barriera che deve diventare sempre più inattaccabile e inespugnabile proprio per evitare che le ferite precedenti vengano riaperte o che se ne generino di nuove. Può essere capitato che alcune di quelle cicatrici ci abbiano lasciato segni così profondi da aver fatto nascere in noi l’esigenza di rifiutare qualunque situazione anche solo lontanamente simile a quella che le aveva generate, per evitare di ripetere le stesse dinamiche, per impedirci di ricadere di nuovo nello stesso errore, per non correre il rischio di veder di nuovo riaprirsi la vecchia ferita.

Proseguendo nel nostro cammino è inevitabile incorrere in nuove e inedite circostanze verso cui ci buttiamo, coraggiosi e senza alcun timore, perché assolutamente differenti da quelle dalle quali abbiamo scelto di tenerci lontani, circostanze che però possono avere un epilogo completamente diverso da quello atteso, e sperato, facendoci così ricadere nello stesso buio emozionale che tanto avevamo fatto per evitare. A quel punto non possiamo che decidere di rafforzare le barriere precedenti, indurirle per renderle meno inattaccabili e distaccarci completamente da quei coinvolgimenti emozionali che vanno a scoprire proprio la parte più tenera, quella fragile che non vogliamo mai più permettere venga alla luce per evitare che sia di nuovo toccata nel suo punto più debole. In quella roccaforte che ci imponiamo di costruire, con l’andare del tempo, possiamo perderci nell’autoconvinzione di non aver bisogno, per nostra pura e semplice scelta, di qualcosa che non serve a completarci, che non è vitale per il nostro equilibrio, perché in quel percorso di accettazione e di negazione precedente abbiamo appreso a bastare a noi stessi, a non necessitare alcun appoggio che, nel momento della sua assenza, ci destabilizzerebbe.

Così ci buttiamo nel mondo forti della consapevolezza acquisita, della convinzione che alcune cose non fanno per noi, e non a causa di un destino avverso o di chissà quale scherzo karmico, bensì semplicemente perché siamo noi a non porci nella condizione di averle, siamo noi a non percepire quell’esigenza che ci indurrebbe a rivolgere lo sguardo verso chi ce le può dare, siamo ancora noi a decidere, nella consapevolezza di chi siamo, che alcune scelte non fanno per noi.

È davvero così?

Siamo davvero tanto diversi dalla maggior parte delle persone al punto di fuggire ciò che altri inseguono e cercano oppure è una bugia credibile che abbiamo imparato a raccontarci?

Per quale motivo dunque, se è vero ciò di cui ci convinciamo, che sentiamo dentro di noi una sottile inquietudine, una latente insoddisfazione che intravediamo solo quando, sovrappensiero, ci osserviamo più a fondo e ascoltiamo la voce che nascondiamo con le parole della razionalità?

I periodi in cui abbiamo perduto la fiducia in qualcosa, durante i quali siamo costretti a fare i conti con la disillusione per ciò che, seppur richiesto, non ci è stato dato o con la presa d’atto che alcune cose sono troppo relative per rimanere costanti nella nostra vita, abbiamo nascosto anche a noi stessi le esigenze che fino a prima di quegli episodi esistevano e accoglievamo. Tuttavia nel momento in cui quel qualcosa ci sfiora ancora una volta, per caso o per destino, oppure attraverso un episodio che ci fa intravedere quanto invece, nonostante la decisa negazione, sarebbe bello che facesse di nuovo parte della nostra vita, non riusciamo a non sentirci di nuovo emozionati e aperti a quella possibilità. A un nuovo ritorno o a una nuova apertura scoprendoci in realtà a desiderarla, a dispetto di tutte le volte che avevamo raccontato a noi stessi di non averne bisogno.

Perché spesso le paure che tutto ciò che desideriamo non arrivi o ci venga negato, ci induce a rinchiuderci dentro un guscio dal quale possiamo gridare al mondo che non ci interessa, anche se lo stesso eco della nostra voce ci racconta ben altro, qualcosa che non vorremmo ascoltare perché, di fatto, è più facile non ammettere.

 

 

 

Marta Lock