Nessuno sbaglio sarà mai tanto grande… quanto la scelta di non combattere… per qualcuno a cui dovevamo solo chiedere scusa…
Abbiamo inciampato, siamo caduti e ci siamo rimessi in piedi talmente tante volte che ormai non le contiamo più; tra questi alti e bassi abbiamo compreso che gli sbagli, quelli grandi sicuramente in modo più significativo di quelli piccoli, ci sono stati provvidenziali per crescere, imparare, modificare anche a fatica qualcosa di noi che non andava bene, o che non era più adeguato al punto in cui ci trovavamo. Anche nel confronto con gli altri abbiamo appreso che un attento ascolto ci porta a scoprire le ragioni che la nostra ragione, quella che segue il filo logico strettamente personale che appartiene a noi e a nessun altro, non può afferrare se non osservando tutto da un punto di vista differente e a volte opposto.
In tutto questo ascoltare gli altri senza perdere di vista noi stessi ci siamo spesso trovati davanti alla barriera del non riuscire ad ammettere i nostri sbagli, sia per l’orgoglio di non voler farci vedere deboli sia per non dare la soddisfazione, a chi ci stava, davanti di sapere di aver vinto. Quasi come se il confronto o i rapporti con gli altri debbano essere un braccio di ferro tra chi vince e chi perde o un’altalena tra forza e debolezza… eppure sembra essere ciò che si verifica. A maggior ragione la cosa ci colpisce quando siamo noi a sentirci feriti per il comportamento di qualcun altro che, piuttosto che venire ad ammettere l’errore, a dichiararsi dispiaciuti e confrontarsi in modo adulto con noi, preferisce voltare le spalle e chiudere quel dialogo fondamentale al confronto costruttivo.
E’ davvero così difficile?
Perché diventa preferibile perdere qualcuno o rinunciare a combattere pur di evitare di dover affrontare le proprie responsabilità?
Quale sbaglio può mai essere così tanto imperdonabile da rendere preferibile una veloce ritirata anziché accettare di mettere le carte in tavola e confessarsi dispiaciuti, mortificati, consapevoli di non voler più ripeterlo quello stesso sbaglio?
Nella società contemporanea sembra essere diventato molto più semplice sbandierare ai quattro venti la propria presunta forza, il proprio orgoglio, il sottolineare di non chinare la testa davanti a niente e nessuno, che si arrangino gli altri se non ci accettano, che non costruire, mattone dopo mattone, una conoscenza basata anche sugli errori che fanno in fondo parte di noi, di un modo di essere a volte molto radicato fino al momento in cui ci troviamo a confrontarci con un’altra persona. Perché in fondo è questo che siamo, persone, esseri umani pieni di difetti e il fatto di non volerlo ammettere ci fa sembrare ancora più imperfetti, soprattutto quando questa scelta comporta conseguenze che non ci rendono felici.
Rinunciare a qualcuno a cui teniamo, scappare anziché lottare per riconquistare la sua fiducia laddove l’abbiamo perduta, è un errore anche più grave di quello che abbiamo commesso prima perché ci lascia in bocca il sapore amaro del rimpianto, del non sapere cosa sarebbe successo se avessimo abbattuto la barriera difensiva dell’orgoglio, nostro, e della ferita che ciò che è accaduto, e che è comunque incancellabile, ha provocato nell’altro. Eppure sappiamo, perché l’abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, che ci vuole molta più forza e determinazione nel guardarsi allo specchio e confessare con lucidità gli errori che non fingere di non averli fatti e voltarsi dall’altra parte ostentando un coraggio nel fuggire che sappiamo benissimo di non avere.
Così, mettendo da parte quell’orgoglio stupido a cui molti di noi si aggrappano come se costituisse l’unico punto fermo della loro vita, accettando di ammorbidire una posizione rigida che non dà beneficio a chi ci sta davanti ma neanche a noi stessi, ci potremmo ritrovare con semplicità a chiedere un solo minuto per fare ciò che sappiamo essere giusto fare, per spiegare, chiarire e ammettere ciò che è stato e promettere di lottare per riconquistare la fiducia persa, per aprirci a un confronto che, sorprendentemente, potrebbe farci trovare a una porta spalancata scoprendo che l’altro aspettava solo che chiedessimo scusa.
Marta Lock