Forse in fondo la felicità non risiede negli alti e bassi delle emozioni… forse la felicità abita negli spazi di serenità tra i due impetuosi estremi…
La società contemporanea ci induce ad avere ritmi esistenziali serrati, orientati al raggiungimento di obiettivi e di traguardi per i quali impegnarci e lavorare duramente sembra essere l’imperativo irrinunciabile; se da un lato questo tendere contribuisce a indurci ad apprezzare e a convivere con quella tensione necessaria a diventare stimolo per perseguire lo scopo che ci siamo imposti, dall’altro ci spinge a credere che nel momento in cui tutto sembra scorrere su un binario più tranquillo, perché la meta è stata raggiunta oppure semplicemente perché arriva un momento in cui è necessario aspettare che gli eventi prendano la direzione auspicata, stiamo perdendo tempo, stiamo assumendo un atteggiamento eccessivamente rilassato che fa sorgere il sospetto che qualcosa non vada. La conseguenza logica di questo tipo di concezione è una corsa a trovare il modo di vivacizzare quella momentanea staticità, dubitare dell’apparente calma e impegnarci per riempire lo spazio con altri obiettivi da perseguire, ulteriori impegni a cui attendere e nuove emozioni da cui lasciarci trascinare.
A lungo andare l’atteggiamento si cronicizza e si amplifica a ogni settore dell’esistenza, rendendoci costantemente inquieti e convinti che sia solo attraverso le sensazioni più forti, quell’ottovolante tra alti e bassi, tra il desiderare e l’ottenere, che si riesca a concretizzare il sogno di felicità che appare spesso come un’entità utopica la quale si allontana ogni qualvolta ci sembra di averla raggiunta. Questa irrequietezza esistenziale si estende persino alle questioni sentimentali, anche a seguito delle esperienze del passato che ci hanno indotti a sentirci incredibilmente esaltati nel momento in cui riuscivamo a conquistare qualcuno che ci aveva attratti e che aveva velocemente catalizzato la nostra attenzione, e poi assolutamente a terra quando si verificava un distacco, un diverbio, una discussione a seguito della quale abbiamo percepito un allontanamento da dover immediatamente riempire partendo di nuovo alla conquista di ciò che sembrava perduto. In quelle fasi, in quei bassi seguiti poi da nuovi alti pieni di entusiasmo ed esaltazione nei confronti di un nuovo inizio, ci perdiamo all’interno della convinzione che siano esattamente quelle forti emozioni a permetterci di comprendere quanto l’altro sia importante per noi, e che sia l’alternanza tra il sapere di avere e il rischio di poter perdere a determinare il valore di un rapporto.
È davvero così?
Per quale motivo siamo giunti alla conclusione che sono solo gli alti e bassi a renderci felici?
Qual è l’ostacolo mentale che ci induce a considerare la serenità e la stabilità come l’anticamera della noia quando invece potrebbe essere esattamente nelle loro pieghe di tranquillità che si nasconde la vera essenza dell’appagamento?
A un certo punto del nostro percorso, quell’incessabile corsa verso nuovi obiettivi da raggiungere o mete da continuare a conquistare, potremmo trovarci faccia a faccia con una sensazione nuova, inedita, impensata fino a poco prima, quella cioè che ci permette di desiderarlo quel mare di tranquillità che metta fine all’irrequietezza che avevamo confuso con un impeto fondamentale per farci capire l’importanza di qualcosa, o di qualcuno, mentre in realtà stiamo scoprendo che i brevi momenti di esaltazione emotiva sono solo delle pause nell’esistenza reale. Tutto ciò che scorre e che sembravamo aspettare per sentire l’elettricità travolgente delle emozioni forti, costituisce di fatto la vera essenza della vita, lo svolgersi di una quotidianità che, nel momento in cui non è rassegnazione bensì scelta, disegna la serenità che a sua volta si trasforma in felicità, una sensazione fatta di certezze, di condivisioni, di complicità e di risate che niente hanno a che vedere con l’ottovolante dell’insicurezza, non sono paragonabili a quell’elastico costante a cui eravamo abituati prima, eppure riescono a infonderci quella gioiosa pienezza di cui tanto avevamo bisogno senza averlo previsto.
In questa nuova fase di consapevolezza ci rendiamo conto di quanto fosse stata erronea la credenza che ci induceva a desiderare di applicare la corsa al raggiungimento di nuovi obiettivi anche a una sfera emotiva che invece tendeva inconsciamente alla ricerca di un benessere emotivo che, proprio a causa di quell’irrequietezza, continuava a sfuggirci; in questa nuova fase diveniamo coscienti della rilevanza di tutto ciò che prima avevamo sottovalutato, di quegli spazi di serenità da cui ci sembrava di dover fuggire confondendoli con una sonnolenta staticità. E così cominciamo lentamente e gradualmente a trovare l’appagamento in quelle lunghe parentesi di quiete interiore che finalmente troviamo il coraggio di chiamare felicità.
Marta Lock