Finalmente noi

Succede che non diciamo ciò che pensiamo…dando origine a equivoci che poi saltano fuori…succede che diciamo ciò che pensiamo…dando vita a reazioni di difesa…quindi scopriamo che è meglio semplicemente essere noi stessi…a prescindere da ciò che può succedere…

Nel lungo e tortuoso percorso di conoscenza di noi stessi e di scoperta delle caratteristiche delle persone con le quali abbiamo a che fare passiamo attraverso fasi alterne e a volte completamente contraddittorie tra loro. Inizialmente infatti tendiamo, supportati dall’irruenza e dalla spavalderia giovanili, a mostrarci esattamente come siamo, senza filtri e a volte senza alcun controllo delle nostre emozioni più istintive, generando molto spesso nella persona davanti alla quale ci troviamo reazioni che si manifestano in maniere differenti: nella maggior parte dei casi assistiamo a fughe più o meno repentine espresse con i silenzi, in altri a decisamente poco attinenti alla situazione in oggetto e poche rarissime volte abbiamo il privilegio di poterci confrontare con qualcuno capace di tenerci testa sostenendo la propria tesi con la stessa nostra decisione e irruenza.

Così crescendo impariamo lentamente e con fatica ad assumere un atteggiamento più riflessivo e misurato e sicuramente più orientato alla comprensione dell’altro piuttosto che all’affermazione prepotente e cieca di chi siamo noi.

Dunque intraprendiamo la strada dell’ascolto attento verso chi incontriamo e diventiamo così aperti nei confronti della possibilità che chi è tanto diverso da noi possa aiutarci a crescere e modificare i lati del nostro carattere che ci avevano causato problemi nelle precedenti situazioni, da farci a un certo punto dimenticare completamente chi siamo e di cosa abbiamo bisogno. E cominciamo un processo assolutamente inverso rispetto al precedenze durante il quale ciò che vogliamo diventa secondario rispetto a ciò che vuole l’altro, il modo in cui abbiamo bisogno di sentirci assume un posto di livello inferiore rispetto a come vuole sentirsi l’altro e così via fino a incarnare l’esatta immagine di quell’ideale al quale crediamo di dover assomigliare per vivere meglio il rapporto.

E nel tempo impariamo talmente bene a trasformarci, quasi come camaleonti che adattano la loro pelle a chi di volta in volta si trovano accanto, al punto di sentirci sempre inadeguati, non sbagliati, semplicemente disorientati per aver perduto la nostra identità ed esserci comunque trovati con in mano un pugno di mosche, perché in ogni caso prima o poi le nostre esigenze, le risposte che abbiamo il diritto di dare a noi stessi, la necessità di lasciar trasparire ciò che siamo e non solo ciò che l’altro desidera che diventiamo, bussano alla nostra porta e, sebbene cerchiamo di non ascoltare quel toc toc ripetuto, a lungo andare non possiamo fare a meno di aprirgli. Così il dispiacere di aver visto finire qualcosa si affianca e si potenzia con il dubbio che se ci fossimo concessi il lusso di essere chi realmente siamo senza pensare solo ad andare incontro all’altro, senza chiederci se ci facesse piacere farlo ma al tempo stesso ricordandoci di quella vocina che ci suggeriva che forse era meglio non farlo, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Perché abbiamo accettato compromessi se qualcosa in noi ci suggeriva di non farlo?

Per quale motivo abbiamo creduto fosse meglio rinunciare a noi stessi per adeguarci completamente all’altro?

In quale momento abbiamo deciso che ciò che voleva fare o il modo in cui voleva condurre il rapporto l’altro fosse sicuramente più giusto di come volevamo viverlo noi?

A causa di quale insicurezza o senso di inadeguatezza ci convinciamo che se vogliamo stare con qualcuno è necessario rinunciare a noi?

Dopo aver effettuato vari tentativi di sopravvivenza nella giungla dei rapporti che oggi sembra quasi necessaria per esplorare e arrivare al grado più alto di conoscenza di noi, dopo esserci resi conto che quando abbiamo manifestato senza paura la nostra personalità abbiamo assistito a reazioni di fuga, di volta in volta diverse a seconda del personaggio che avevamo di fronte, ma in ogni caso tutte volte a sottolineare quanto sconveniente fosse esprimere con chiarezza ciò che volevamo, dopo aver quindi scelto di tacere le nostre esigenze attendendo che venissero soddisfatte e adeguandoci quando non lo erano state e aver capito che, per quanto potessimo tenerle a bada, prima o poi si sono manifestate a volte nel momento e nel modo meno adeguati proprio perché spingevano talmente tanto per uscire da essere diventate inarrestabili, dopo tutto ciò capiamo che ciò che siamo, ciò che desideriamo, ciò che ci è necessario per vivere sereni, prescinde completamente da chi si affianca a noi.

E arriviamo finalmente a quella liberatoria fase in cui non ci preoccupiamo più di come sarà accolto il manifestarsi di una nostra idea o di un nostro disagio riguardo un determinato argomento o comportamento perché abbiamo imparato che non esisterà senso di inadeguatezza se non ci preoccuperemo di come gli altri vorrebbero che fossimo, che non esisterà insicurezza sul manifestare le nostre esigenze o richieste perché saranno quelle che esattamente desideriamo… perché non esisterà più rimpianto nel momento in cui, finalmente, sceglieremo di essere noi.

 

Marta Lock