Il bisogno di alcuni di appartenere a uno schema o denominazione… è pari solo a quello di altri… di sentirsi liberi di non essere inquadrati in nessuno dei due…
L’appartenenza a un gruppo, una categoria, a un insieme di persone che si sentono vicine per sguardo verso la vita, per ideali spirituali o semplicemente per abitudini, sembra essere diventato l’imperativo della società contemporanea, quasi come se l’individuo si sentisse destabilizzato trovandosi a stare da solo con se stesso, a elaborare un proprio singolare punto di vista, pertanto diviene più semplice accorparsi a una struttura preesistente dove il compito di elaborare gli ideali comuni sia affidato a qualcuno di più forte, di più capace, con una migliore dialettica. La sensazione di far parte di una piccola comunità con cui condividere è piacevole e rassicurante poiché il dialogo è agevolato dalla similitudine di intenti e di pensieri; questo ovviamente è positivo poiché fa parte di quella socialità a cui l’essere umano è abituato a livello primordiale, fin dalla notte dei tempi infatti si riuniva in piccoli gruppi per avere maggiori sicurezze, per proteggersi dalle insidie e per avere la possibilità di comunicare, seppure il dialogo fosse ancora lontano dal poter nascere. Tuttavia come in ogni cosa esiste anche il rovescio della medaglia che si manifesta qualora questa necessità di appartenenza e di adeguamento diventino una condizione imprescindibile per difendere e affermare le proprie posizioni e soprattutto per vivere la realtà che si desidera vivere perché c’è qualcuno di simile che si unisce alla nostra voce.
Il gruppo a quel punto comincia a definire la nostra identità, ciò che desideriamo essere e che da soli non riusciamo a diventare credendo più confortante poterci identificare all’interno di alcuni parametri delineati da qualcuno al di fuori di noi, più competente, più abile a combattere le nostre medesime battaglie o a tracciare i confini di cosa è giusto e cosa è sbagliato, di quale sia il modo migliore di comportarsi di fronte ad alcune circostanze, insomma aderiamo completamente a qualcosa, un concetto, un’idea, come stabilito da qualcuno di diverso da noi e dalla nostra sfaccettata identità. Tuttavia, malgrado intravediamo che non tutto ci calza a pennello, decidiamo comunque di adeguarci perché è confortante sapere di rientrare in quella normalità che ci fa sentire accettati, parti di un meccanismo in cui poterci riconoscere. Poi però ci capita di guardarci intorno o di avere a che fare, per uno di quegli strani giochi del destino che ci conduce verso ciò che dobbiamo necessariamente guardare e sperimentare, con un battitore libero, con una di quelle persone che non si curano minimamente di rientrare all’interno di uno schema o di seguire la strada indicata da qualcun altro bensì procedono speditamente ascoltando le proprie esigenze, assecondando il proprio modo di essere e la naturale inclinazione senza sentirsi disorientati o emarginati solo perché scelgono di non appartenere ad alcun gruppo o a sfuggire alle definizioni.
Come è possibile?
Per quale motivo questi individui non temono l’isolamento, o forse sarebbe meglio dire l’autonomia decisionale, la mancanza di parametri a cui fare riferimento?
E in quale modo riescono a farsi accettare dagli altri che entrano in contatto con loro?
Di fatto ci siamo trovati davanti a uno spirito libero, a una di quelle persone che ascoltano se stesse, che procedono per la loro strada senza la necessità di avere qualcuno che li sostenga perché hanno appreso che per costruire qualcosa di più conforme alla loro identità, qualcosa che abbia il profumo dolce dell’avvicinamento alla felicità, devono camminare con le proprie gambe, inoltrarsi in sentieri spesso inesplorati proprio perché singolari, magari eccentrici, complessi, difficili da raggiungere per i quali è necessario il coraggio, quello vero, la temerarietà e soprattutto la forza di procedere in solitaria. Più li osserviamo per cogliere un segnale di cedimento, di ammissione che forse è meglio tornare indietro e rientrare in uno degli schemi preesistenti, più loro invece continuano a proseguire indomiti sul loro cammino e secondo le loro convinzioni, noncuranti di essere magari gli unici ad avere quell’idea, perché l’essenziale è che sia un’idea appartenente a loro, elaborata ascoltando se stessi.
Sono persone diverse, al di fuori del controllo della società, impavide e consapevoli della propria forza che si è delineata e manifestata proprio in virtù della loro scelta di camminare e spesso combattere da soli; sono coloro i quali suscitano silenziosa ammirazione ma che al tempo stesso spaventano perché non sono inquadrabili in alcun paradigma eppure sanno combattere alacremente per le loro battaglie. E attraverso l’incontro con uno solo di loro comprendiamo quanto in realtà siano loro ad essere davvero liberi, non noi con le nostre lotte comuni, con le nostre opinioni condivise e necessitanti di conferme e approvazioni esterne; loro sono quegli spiriti liberi che hanno il coraggio e la forza di avere uno sguardo diverso, di costruire qualcosa di diverso laddove tutti gli altri vedono solo la fine del conosciuto.
Marta Lock