A volte il silenzio è un’arma… altre volte una difesa… e alcune un modo per non dare una risposta… l’uso che ne facciamo determina che tipo di persone siamo…
Quante volte siamo rimasti increduli davanti a un atteggiamento di chiusura al quale non sapevamo dare un senso?
Perché in altre occasioni siamo invece stati noi a scegliere di non esternare un pensiero che avrebbe potuto essere chiarificatore per l’altro?
Come mai a volte una chiusura al dialogo ci infastidisce mentre altre, al contrario, ci fa sentire sollevati? Da cosa dipende la nostra capacità di accogliere o meno un particolare atteggiamento?
Nella società contemporanea, talmente veloce e proiettata a stringere i tempi di ogni cosa, l’atteggiamento più comune nei rapporti interpersonali è quello di ridurre al minimo il dialogo aperto e sincero. Ci si conosce in un attimo, ci si frequenta in un secondo e questo porta entrambe le parti a credere che l’altro sia perfettamente in grado di comprendere, altrettanto rapidamente, le sfumature più profonde e i perché di ogni atteggiamento che si assume. In realtà questo tipo di conoscenza, di complicità e di intesa tre due individui arriva solo dopo molto tempo, dopo molti scontri, dopo molti dialoghi e sforzi di comprensione reciproca, perché conoscendo l’altro si scoprono lati di se stessi che prima potevano non essere mai emersi e il rapporto evolve naturalmente portandosi a un grado superiore, intimo, e dunque allora sì che ci si può aspettare di essere compresi senza bisogno di tante parole.
Tuttavia l’atteggiamento più comune, e forse anche la scelta più semplice, sembra essere diventata il silenzio, che dice tutto ma in realtà può anche non dire niente, che non ci costringere ad assumerci la responsabilità di una frase o di parole che poi sarebbe più difficile negare. Eccoci dunque a scoprire l’esistenza di un esercito di individui che si barricano in un mutismo a noi incomprensibile perché, ovviamente, non essendo la conoscenza tanto approfondita non ci è davvero possibile riuscire a comprendere le sfumature degli altri; spesso anzi restiamo lì, sconcertati, a cercare di risalire a quale sia stato il momento, la frase, la parola, che abbia generato una chiusura tanto netta e nonostante tutto non riusciamo a scovare il motivo dell’ostinato silenzio. Andando avanti nel percorso di vita realizziamo che nella maggior parte dei casi la scelta di non dire, di non spiegare, di non dialogare è sinonimo di debolezza perché in fondo qualunque sia la realtà che quella scelta nasconde può essere comunque resa nota, chiarita e rivelata a chi quel silenzio lo subisce.
Che sia generato da un sentirsi offesi, da un non voler rivelare una parte della propria vita, da un non rispondere ad accuse fondate lasciando quindi l’altro nell’incertezza se avere ragione o aver completamente sbagliato valutazione e frainteso l’intera questione, in ogni caso il silenzio ferisce, determina incertezze e provoca dubbi che lentamente stratificano e, laddove il protagonista della chiusura è convinto di assumere potere, in realtà può capitare che perda definitivamente ogni ascendente che aveva su chi lo subisce. Perché il fascino misterioso e attrattivo del lasciare intendere, dell’eludere, a lungo andare perde smalto agli occhi dell’altro e lo conduce lentamente ad allontanarsi o a giocare allo stesso gioco rovesciando i ruoli.
Dunque, dopo tanti rapporti segnati dalle difficoltà del non detto, dopo tanto interrogarsi e dopo tanto cercare di capire i perché degli altri, perché di cui non arrivavamo mai a un capo in quanto basati solo su ipotesi mai confermate, decidiamo che a prescindere dalla motivazione che spinga qualcuno a scegliere il silenzio, non è ciò che desideriamo faccia parte della nostra sfera perché quando si ha la capacità di comunicare, più o meno serenamente e a volte anche attraverso tempestosi scontri, ciò che abbiamo dentro, ogni cosa diviene più semplice, più lineare, molto meno complicata e più trasparente.
Dopo tutto decidiamo che la vita è troppo breve per continuare a vivere di silenzi e di elusioni, e decidiamo di impiegare in modo migliore e più appagante le nostre energie.
Marta Lock