A volte è necessario mettere dei limiti… per far sentire all’altro… la spinta a voler superare i propri…
Quando incontriamo qualcuno che ci interessa molto, soprattutto dopo aver trascorso un solitario periodo di riflessione su noi stessi e sui rapporti con gli altri che può anche essere durato molto a lungo, può succedere di scontrarci proprio su quelle abitudini, reali o immaginarie, su cui abbiamo adattato la nostra vita nella fase di solitudine. Abbiamo definito gli spazi, ciò che possiamo accettare e ciò che non vogliamo accogliere, addirittura molti di noi hanno definito dei confini netti entro i quali nessuno dovrà mai entrare. Questo perché spesso lo stare da soli ci fa sentire spaventati all’idea di dividere l’intimità della quotidianità con qualcun altro, ci destabilizza pensare di dover riassettare la vita per fare spazio a un’altra persona e costruire una nuova scatola del tempo dentro cui inserire una relazione.
I limiti che stabiliamo sono quelli che ci rassicurano, quelli che ci hanno aiutati a superare un momento difficile o gli stessi che abbiamo deciso di non lasciare più che venissero oltrepassati proprio a causa di una situazione difficile, che ci ha provocato dolore e che mai più desideriamo rivivere. Questo meccanismo funziona a meraviglia fino al momento in cui un nuovo incontro, un nuovo intenso momento magico, di quelli che capitano raramente, non rimette in discussione le certezze, perché l’altro chiede di entrare nel nostro mondo, perché abbiamo dimenticato che è necessario smettere di voler tenere chiusa una porta se vogliamo tornare a rinascere. Ma qualcosa ci trattiene così tendiamo ad aprire solo uno spiraglio che lascia intravedere ciò che c’è oltre la soglia continuando però a gestire in modo fermo e determinato, ma in realtà ostinato, quei limiti entro i quali chi sceglie di avere a che fare con noi dovrà rispettare.
Perché è così difficile ammorbidire gli spigoli e lasciare che qualcuno rompa gli schemi che accuratamente abbiamo definito?
Quale strano meccanismo mentale ci porta a considerare solo le nostre esigenze, condizioni e regole senza tenere conto di quelle dell’altro con cui scegliamo di iniziare un percorso?
Per quale motivo ci sembra meno squilibrante rinunciare a proseguire una strada che potrebbe condurci alla felicità, piuttosto che accettare di riconsiderare la nostra visione e riassettarla su una condivisa, basata sul rapporto che si sta creando?
Siamo davvero convinti che questa libertà di essere noi stessi, immobili, immutabili e assolutamente dentro i parametri che abbiamo scelto, non sia invece una gabbia che ci impedisce di accogliere la possibilità del cambiamento?
In un apparente equilibrio, che in realtà altro non è che la paura di lasciarsi andare alle emozioni, alla destabilizzazione inevitabilmente provocata dall’irrompere di un sentimento che non si può controllare ci sentiamo sicuri, decisi a non lasciarlo crollare e sgretolarsi perciò in suo nome preferiamo distaccarci dal terremoto interiore che la presenza dell’altro ci provoca. Anzi facciamo di più, cerchiamo di imporre all’altro le nostre irrinunciabili condizioni stabilendo il tracciato degli invalicabili limiti che contraddistinguono la nostra personalità, delineandoli come condizione indispensabile per proseguire nella relazione, condizioni che l’altro accetta per dimostrarci quanto tiene a noi.
Poi un giorno, proprio perché sente il bisogno di aprire di più quella soglia inaccessibile, proprio perché le cose non possono rimanere ferme sempre allo stesso punto e soprattutto perché ha bisogno di sentirsi libero di essere e manifestare anche la propria personalità, le proprie esigenze, i propri desideri e la propria visione del rapporto che vuole costruire con noi, ci mette a sua volta davanti a un aut aut. Per aiutarci a crescere, per portarci per mano verso la rottura dei nostri schemi e ricostruirne di altri comuni, per provare a farci guardare le cose anche con i suoi occhi permettendoci di scoprire che possono comunque essere belle e rassicuranti, per farci capire con fermezza che quella libertà tanto sbandierata di essere ciò che vogliamo essere è diventata una prigione dentro cui non ci rendiamo conto di stare.
Quel giorno forse sarà lo stesso in cui le ali della libertà, che avevamo nascosto dentro le rassicurazioni della gabbia dorata, ci porteranno a oltrepassare i nostri limiti per adeguarci all’altro che, chiudendo quella porta che aveva in precedenza spalancato, ci ha aiutati a capire quanto sia inutile trattenere il cambiamento che in fondo a noi stessi aspettavamo di poter effettuare.
Marta Lock