La cosa più bella non è sforzarci di dare il nostro meglio… ma incontrare qualcuno che riesca a vedere il nostro meglio… anche quando temiamo di aver dato il peggio…
Nella società contemporanea siamo spesso stimolati ad apparire nella nostra veste migliore, quella più lucente e avvolta da un’aura di perfezione costruita appositamente per farci sentire accettati, per conformarci a tutta quella serie di codici comportamentali che permettono agli altri di inquadrarci all’interno di categorie conosciute, rassicuranti proprio perché identificabili; questo atteggiamento ci permette di sentirci accettati all’interno di un gruppo, di una cerchia, che sia professionale o emotiva, grazie alla quale non ci sentiamo soli. A volte diventa talmente automatico comportarci come gli altri si aspettano da noi da indurci a dimenticarci chi siamo davvero, di lasciare spazio anche a quel lato che pur non potendo fuoriuscire all’esterno, nella società in cui viviamo la quotidianità, sente il bisogno di emergere alla luce e di mostrare la sua sfaccettatura differente da quella della facciata. Tuttavia nel momento in cui cediamo all’esigenza interiore, ci troviamo di fronte alla necessità di doverci proteggere da chi comprende il nostro lato più morbido e meno lucente, oppure dobbiamo sostenere gli sguardi delusi di chi pensava che le nostre caratteristiche si fermassero alla superficie che mostriamo al mondo ogni giorno.
A quel punto dunque diventa vitale continuare a mantenere quel velo di apparenza, quella tendenza a mostrare il lato migliore, quell’approccio alla vita in cui tutto ciò che mostra una debolezza oppure una parte di noi che pensiamo possa non essere apprezzata va nascosto, celato, in modo che a emergere sia solo ciò che invece sappiamo che agli altri piace, ciò che si aspettano da noi perché parte di quella convenzionalità che costituisce uno schema accettabile e giusto, che non induca gli altri a fare quell’ulteriore sforzo di comprensione che li porterebbe a instaurare un rapporto più profondo, basato sull’interazione e la comprensione reciproca. Questo tipo di atteggiamento sarà lo stesso con il quale affronteremo i rapporti personali perché abbiamo deciso di voler dare il meglio di noi, soprattutto se abbiamo avuto esperienze precedenti che ci hanno fatto assistere a fughe proprio quando abbiamo esposto e mostrato la parte più vera, quella che normalmente siamo reticenti a lasciar fuoriuscire; quelle reazioni ci hanno convinti di dover mantenere alta la guardia, di dover cercare di mostrare sempre la parte più impeccabile perché se qualcuno vedesse il nostro peggio potrebbe non guardarci più con lo sguardo che ci piace tanto.
Eppure, portando avanti quella scelta, sentiamo che ci manca qualcosa, capiamo che la nostra vera essenza è mortificata, silenziata dalla paura di non essere accettati per ciò che siamo, anche con le nostre zone d’ombra, quelle che però fanno parte della nostra sfaccettata personalità.
Per quale motivo allora temiamo tanto di essere giudicati o di non essere compresi se decidessimo di essere più trasparenti con le persone che ci circondano?
Quanto può essere reale un rapporto se l’altro non è in grado di affrontare anche il nostro peggio, quello che comunque a lungo andare emergerebbe?
Come mai preferiamo nasconderci piuttosto che avere il coraggio di cercare quel qualcuno che non abbia paura di restarci accanto anche quando diamo il peggio di noi?
Proprio nel momento in cui poniamo queste domande comprendiamo di dover avere maggiore coraggio, di dover scegliere la naturalezza e la spontaneità, le uniche in virtù attraverso le quali è possibile dare vita a relazioni sincere e sane, quando incontriamo qualcuno con cui sentiamo di poter intraprendere un cammino. E stranamente potrebbe essere esattamente quello il momento in cui arriverà un guerriero coraggioso in grado di non spaventarsi davanti ai nostri eccessi, alle nostre esternazioni che non vorremo più trattenere o nascondere, perché abbiamo appreso che hanno lo stesso diritto di fuoriuscire dei lati migliori, quelli più piacevoli. Qualcuno che saprà accettare il peggio perché sarà in grado di capire che è solo l’altra medaglia del meglio che lo ha fatto innamorare.
Marta Lock