Non riuscire ad ammettere di poter fare un errore… è il primo e più grande errore… che si dovrebbe ammettere di fare…
La società contemporanea si basa su princìpi decisamente inconsueti se raffrontati all’atteggiamento di più basso profilo e autocritico appartenente a un secolo scorso in cui l’apparire non era il vero fulcro dell’esistenza, dove i valori erano dei baluardi irrinunciabili su cui basare tutta la crescita emotiva, personale e professionale. All’interno delle nuove dinamiche che regolano i rapporti interpersonali ci siamo sintonizzati su un meccanismo che ci induce a mostrare la parte migliore di noi, quella più infallibile, quella che ci permette di indossare una maschera in virtù della quale dobbiamo apparire perfetti, invincibili e inattaccabili e che pertanto non comprende l’opzione di poter sbagliare o, nel caso in cui l’errore si verifichi, di non riconoscere che si sia verificato.
Questo tipo di atteggiamento si cronicizza spesso in maniera talmente profonda da generare nell’individuo la convinzione di non essere mai in errore, che tutte le sue scelte siano giuste anche quando hanno delle evidenti conseguenze affatto positive per egli stesso o per chi gli sta accanto, se non addirittura per l’ambiente in cui si muove e agisce; perciò si continua a perseverare nello sbaglio, si permane in quell’assurda convinzione che siano le circostanze a essere negative e avverse oppure che gli altri vogliano farci apparire sotto una cattiva luce, senza essere in grado di prendersi la responsabilità dei propri atteggiamenti e delle proprie azioni. Perché l’errore viene associato al fallimento, a un indebolimento agli occhi di chi ci osserva, a una caduta che non possiamo e non dobbiamo ammettere di aver fatto.
È davvero così?
Per quale motivo siamo completamente incapaci di guardare le cose da un’altra prospettiva?
Come mai associamo l’errore al fallimento, laddove quest’ultimo sia considerata un’onta nella società attuale, dimenticando che la grandezza di qualcuno emerge proprio nella capacità autocritica e di saper riconoscere i propri sbagli?
Assumersi la responsabilità di tutto ciò che accade richiede una significativa dose di coraggio e di forza d’animo che molti di quei guerrieri dall’armatura lucente non hanno, perché guardarsi dentro e ammettere le proprie debolezze non è per tutti, osservare quanto in fondo l’errore non sia che una parte del cammino verso l’evoluzione e non identifichi l’individuo bensì costituisca solo e unicamente un incidente di percorso, una pausa, un’interruzione sulla strada della conoscenza di sé, è una questione con cui possono avere a che fare solo quelle persone che hanno le spalle larghe, che non hanno bisogno di nascondersi dietro una facciata lucente, perché all’abitudine comune di indossare la maschera preferiscono la trasparenza della sostanza. Quel modo di essere che se da un lato mette in luce le loro debolezze dall’altro gli permette di non temerle, di farle addirittura diventare un punto di forza, di assumere una posizione critica verso se stessi anticipando le temute, dagli altri, recriminazioni o derisioni esterne, consente loro di procedere a testa alta anche a seguito di una caduta, anche qualora la buccia di banana su cui sono scivolati determini un concatenamento di eventi difficilmente contenibile. Questi coraggiosi sapranno prendere in mano la situazione, chiedere scusa per l’errore e impegnarsi per trovare una soluzione che possa generare il minor danno possibile a tutti gli elementi coinvolti.
Così, a dispetto di chi era convinto che la loro incapacità di nascondere i propri errori fosse un segnale di debolezza, dimostreranno quanto sia infinitamente più grande il loro atteggiamento in virtù del quale conquisteranno, giorno dopo giorno, passo dopo passo, la stima di chi apprezza la trasparenza e la dignità di chiedere scusa piuttosto che il fingere di non aver fatto nulla per cui scusarsi. Così, differentemente da quanto ipotizzato dagli altri, segneranno la loro strada fatta di errori che li condurranno verso il successo.
Marta Lock