Le barriere che innalziamo per difenderci dagli altri…possono diventare le stesse che non riusciremo più ad abbassare…neanche davanti a noi stessi…
A volte sulle montagne russe generate dal nostro esplorare la vita e le emozioni, necessario a effettuare la crescita che ci porterà verso la maturazione come individui, perdiamo il senso dell’orientamento fino ad arrivare a dimenticarci di guardare il panorama che si vede dall’altro della parte più ripida del percorso innescando quei meccanismi che servono a non farci sentire il senso di vertigine che abbiamo inevitabilmente provato in precedenza quando, incoscienti, non ci eravamo protetti dal rischio.
Perciò tra il saliscendi continuo che siamo inevitabilmente costretti ad affrontare e vivere giorno dopo giorno, impariamo a costruire intorno a noi un’armatura, un casco protettivo che ci impedirà di picchiare la testa quando cadremo, una corazza che ci riparerà dai colpi che periodicamente prendiamo e che, lentamente ci portano a non riuscire più a vedere le sembianze originarie della nostra anima, delle nostre emozioni, perché siamo talmente impegnati a non mostrarle all’esterno da dimenticarci di toglierci l’armatura anche quando siamo soli con noi stessi, al sicuro dagli attacchi esterni e da ciò che potrebbe mettere in pericolo la nostra incolumità emotiva.
Perché nell’urgenza di volerci proteggere alziamo delle barriere talmente spesse da non riuscire a ricordare come eravamo prima?
A cosa serve tutta quella protezione se non siamo più capaci di giocare, sorridenti, con i nostri sentimenti e con la gioia che da essi deriva?
Per quale motivo ricordiamo solo i momenti in cui la vertigine è stata intensa e non quelli in cui, guardando il panorama, ci eravamo sentiti oltre le nuvole?
Quanti strati di protezione abbiamo costruito intorno a noi stessi per non riuscire più a essere capaci di toglierli?
Purtroppo i momenti di sofferenza, le salite e le discese, accompagnati da tutte le volte che siamo caduti, ci hanno indotti a tutelare le nostre fragilità e le nostre debolezze, amplificate ogni volta che ci scioglievamo davanti a un sentimento e a un’emozione forti, al punto da non poter, o non voler, più desiderare di rischiare che un piccolo graffio possa farci nuovamente perdere l’equilibrio e scegliamo di andare sicuri nel mondo corazzati e protetti da ciò che non vogliamo più mostrare all’esterno e neanche a noi stessi. Perché a volte guardare un’interiorità che spesso ci ha causato sofferenza ci ricorda momenti che abbiamo faticato tantissimo a dimenticare e con i quali non abbiamo più voluto confrontarci.
Quindi mascheriamo quella passata sofferenza, quella trascorsa fatica impiegata per rialzarci dopo essere rovinosamente caduti, con la spavalderia di guerrieri senza macchia e senza paura, certi di essere diventati inattaccabili e di non permettere mai più a nessuno di riportarci verso il basso, e così viviamo dimenticandoci la parte di noi che si emozionava, che soffriva ma che sentiva intensamente e amplificato ogni soffio di vento, che ballava sotto ogni goccia di pioggia, che rideva quando vedeva spuntare l’arcobaleno nel grigio cupo delle nuvole, che non aveva paura di correre perché non era ancora mai caduta.
Ma prima o poi, dietro tutti gli strati di corazza, quando ormai non abbiamo più nulla da cui difenderci, quando inizieremo a sentirci al sicuro, è vero, ma anche vuoti per non riuscire più a trovare quelle emozioni soffocate e respinte, e la capacità di lasciarci di nuovo andare ci sembra dimenticata in quel casco protettivo dietro il quale non riusciamo più a scorgere lo sguardo vivo e intenso che avevamo prima di indossarlo, prima o poi inizieremo a sentirci persi perché comprendiamo che ciò che davvero siamo è ciò che abbiamo provato con tutte le forze a proteggere dietro una barriera…ciò che davvero siamo è ciò che sentiamo e che, improvvisamente, ci sembrerà inutile aver soffocato.
E quel giorno diverrà quello in cui, finalmente, scopriremo di nuovo i veri noi stessi.
Marta Lock