Molte persone pensano di poter tornare… e trovare tutto come prima… ma tutto sarebbe potuto rimanere come prima… solo se non se ne fossero mai andate…
Alcune storie arrivano nella nostra esistenza in un momento particolare, strano, nel quale noi o l’altro, non abbiamo ben chiaro il percorso da intraprendere, oppure semplicemente non siamo sufficientemente maturi ed equilibrati da essere in grado di accettare un rapporto che sembra più grande di quanto ci aspettassimo. A volte questa consapevolezza, o sensazione, non riesce a essere arginata né controllata, quindi darci il tempo di assistere gradualmente, e senza tensioni interiori, al suo evolversi, non sembra possibile poiché l’emozione ci travolge e non ci permette di gestire ciò che accade, che nasce da ciò che sentiamo.
In altri casi invece, sebbene noi scegliamo, perché ci risulta impossibile optare per qualcosa di diverso, di arrenderci alla tempesta e di assecondare gli eventi che si susseguono impetuosi e travolgenti, invadendo la nostra quotidianità e i nostri pensieri, ci possiamo trovare di fronte al panico dell’altro nel non essere assolutamente in grado di gestire una situazione che non si aspettavano li turbasse tanto profondamente. Questo tipo di emozioni spaventano, spesso entrambe le parti, e inducono ad alzare delle barriere che innescano una serie di meccanismi di causa ed effetto dai quali è difficile uscire, un susseguirsi di attacchi e difese, di fughe e ritorni, volti a tutelare un’interiorità che si sente via via più coinvolta e dunque, questo grida la mente, va rinchiusa dentro una rete di schemi dentro cui può essere protetta, domata, arginata. Ovviamente, davanti a questo tipo di chiusura, il rapporto, per quanto intenso, non può che deteriorarsi e, più o meno repentinamente, arrivare a un epilogo che lascia svuotati, storditi dal precipitare degli eventi, increduli per non comprendere come qualcosa di tanto forte sia dovuto finire.
Lentamente, dopo aver raccolto i cocci, riprendiamo il ritmo normale dell’esistenza e non possiamo fare a meno di meditare su quanto accaduto, esaminare con attenzione i nostri comportamenti e quelli dell’altro, gli errori commessi da entrambi, acquisendo la consapevolezza di non essere stati in grado di vivere nel modo giusto una relazione inaspettata nell’intensità delle emozioni, e divenuta complicata proprio a causa delle corazze indossate a tutela di un sentimento che altrimenti ci avrebbe travolti. Ci confrontiamo con altre circostanze, effettuiamo quel fondamentale percorso evolutivo e di crescita che, inevitabilmente segue un giro di boa tanto importante, così tanto da riuscire a cambiare il punto di vista su molte cose; ci fortifichiamo, modifichiamo i comportamenti che sappiamo essere stati sbagliati, prendiamo le distanze da sensazioni che non possono più essere vissute, non con quella persona, non con la medesima forza. E così accettiamo quella trasformazione necessaria ad andare oltre, e proseguiamo nel nostro cammino senza guardarci indietro.
Quando un sentimento si sviluppa e divampa però in un modo tanto repentinamente intenso da far quasi paura, molto spesso tende a restare latente sotto la cenere, a non spegnersi bensì a mantenere un sottile legame, una comunicazione interiore che parte da noi e arriva all’altro quasi senza che ce ne accorgiamo. E spesso, davanti a quell’interconnessione inspiegabile, torniamo a cercare un nuovo contatto, o l’altro cerca noi, riaprendo e dando una nuova possibilità a un capitolo che credevamo definitivamente chiuso. All’inizio ci sentiamo entusiasmati e sorpresi da quel nuovo approccio, cerchiamo di dare un senso comune al distacco, di chiedere e ricevere spiegazioni che sembrano quasi perdere di importanza davanti al piacere di trovarsi di nuovo l’uno di fronte all’altra e tendiamo a non notare che, mentre noi abbiamo assunto una posizione più consapevole ed evoluta rispetto al passato, l’altro al contrario pensa di poter riprendere il discorso con le medesime modalità del tempo precedente, nonostante siano trascorsi mesi, a volte anni, dalla prima fase di quella storia.
È possibile che l’altro non abbia compiuto lo stesso percorso evolutivo che abbiamo effettuato noi?
Come può pensare di trovare, nonostante il tempo trascorso, gli stessi noi da cui si era distaccato in precedenza?
Perché dunque un ritorno se non c’è stata da parte sua una presa di coscienza degli sbagli commessi e un desiderio di impegnarsi affinché la relazione cresca davvero?
Quando si mette la parola fine a una storia si innesca inevitabilmente un meccanismo che porta con sé un cambiamento, un rafforzamento e un distacco emotivo dal vortice degli eventi e delle sensazioni provate; in qualche modo si ha una nuova coscienza della potenza di qualcosa di sconosciuto, fino a poco prima, ma che una volta scoperto diviene una nuova probabilità, una possibile opzione, di quanto può accaderci di incontrare. Allo stesso tempo sappiamo di essere sopravvissuti a un’inattesa fine e di essere andati avanti, acquisendo nuova forza, perciò ci stupiamo di come l’altro invece si aspetti di trovare tutto immutato, di pensare di poter gestire nuovamente le cose con la stessa modalità che aveva provocato la precedente chiusura, quasi come se lui non avesse compiuto lo stesso percorso di autoconsapevolezza, come se non avesse analizzato ed esaminato i perché.
La delusione è forte, così come la nostra determinazione a non ricadere nelle stesse dinamiche, e per questo non possiamo fare a meno di prendere le distanze un po’ dalla situazione e un po’ dall’altro che a quel punto si troverà davanti all’evidenza che, avendo compiuto la scelta di andarsene ha provocato egli stesso un cambiamento che deve accettare perché ormai fa parte dei nuovi noi. Oppure rinunciare.
Marta Lock