A volte nel timore di fare troppo facciamo poco… e altre credendo di fare poco facciamo troppo… e poi arriviamo alla consapevolezza di dover fare solo ciò che sentiamo… con l’intensità adeguata alla nostra emozione…
Quante volte abbiamo avvertito la spiacevole sensazione di sentirci inadeguati, inadatti a una situazione o a una persona con cui ci stavamo interfacciando?
In quante occasioni abbiamo assecondato il nostro comportamento a ciò che stavamo vivendo pur sapendo di rinunciare a qualcosa che per noi era essenziale?
Perché tendiamo ormai a valutare e soppesare ogni nostra azione per non rischiare di imbatterci di nuovo in quello spiacevole senso di inadeguatezza?
Il coraggio, le intemperanze appartenenti al nostro passato, alla fase più immatura del nostro percorso esistenziale, si sono spesso scontrati con l’oggettività, con un’interazione con l’esterno che ci ha modificati inducendoci a prendere atto degli errori commessi e di ciò che invece è stato funzionale a farci sentire bene all’interno del frangente che stavamo sperimentando; in molti casi gli sbagli, se da un lato ci hanno investito di un inaspettato senso di fallimento, dall’altro hanno costituito il maggiore punto di svolta, l’insegnamento più importante per costringerci ad analizzare l’accaduto e a valutare l’eccessiva fretta o impulsività o resistenza con cui abbiamo agito. Nella fase immediatamente successiva, quella della presa di coscienza, valutiamo di aver bisogno di trattenere quell’istinto spesso fuorviante e di dover necessariamente fermarci a riflettere prima di passare all’azione, prima di muovere un passo che spesso diventa definitivo o decreta il possibile inizio oppure l’irreparabile chiusura di qualcosa a cui in quella fase teniamo.
Così diventiamo più esitanti, meno irruenti certo ma anche eccessivamente immobili, in alcuni casi, proprio perché il timore di andare verso un atteggiamento esageratamente propositivo ci induce a galleggiare nell’incertezza; in quelle circostanze facciamo fatica a comprendere i segnali che gli altri ci inviano, siamo timorosi di compiere un passo che potrebbe essere rifiutato, male interpretato, ricevuto come troppo risoluto e così decidiamo di centellinare le nostre mosse, quasi come fossimo giocatori di scacchi in attesa di scoprire il gioco dell’avversario. In queste occasioni può accadere che l’altro legga la nostra esitazione come mancanza di volontà di andare verso di lui, stimolando di conseguenza un allontanamento impercettibile eppure inevitabilmente definitivo. Il disorientamento dell’effetto del nostro atteggiamento ci induce ancora una volta a fare un esame introspettivo, a valutare che forse sarebbe stato meglio essere più decisi e determinati nell’agire per evitare di infondere nell’altro la sensazione che non fosse abbastanza importante.
Ne segue un’ulteriore modificazione in virtù della quale decidiamo di essere più intraprendenti, meno immobili perché l’esperienza appena terminata ci ha permesso di comprendere che la poca azione può essere interpretata come una carenza di interesse; in una nuova situazione però sembra che in realtà le iniziative che prendiamo siano interpretate come eccessiva invadenza, come un’accelerazione di ciò che sarebbe il caso prendesse il proprio corso senza forzature, ottenendo in sostanza la medesima reazione dell’esperienza precedente. A quel punto cominciamo a valutare un’evidenza che non eravamo stati in grado di osservare, cioè che ciascuna persona, ciascuna situazione, presentano sfaccettature uniche e dunque non può esistere un comportamento giusto a prescindere, un modo di agire più o meno veloce o meditativo che sia giusto in assoluto; dunque l’unica risposta che siamo in grado di darci, a seguito di quell’analisi, è che dovremmo semplicemente provare a essere noi stessi, ad ascoltarci di più e a lasciarci guidare da quelle emozioni ormai ignorate e messe in secondo piano da valutazioni razionali, perché abbiamo compreso che sono le uniche in grado di guidarci verso il percorso, le azioni, le parole migliori per affrontare la persona, o la circostanza, davanti a cui ci troviamo.
Da quel momento ci lasceremo guidare dall’intensità del nostro sentire, solo in quel modo saremo certi di fare ciò che davvero sentiamo, indipendentemente da ciò che crediamo di dover fare.
Marta Lock