Nel silenzio di un sogno… potrebbe nascondersi la voce della verità…
Esistono momenti o fasi in cui scegliamo di stare con i piedi ben piantati a terra, perché sappiamo che i sogni non ci conducono da nessuna parte o, quantomeno non verso qualcosa di stabile, e perché pensiamo che sia molto meglio procedere su una linea retta che non presenti deviazioni né rischi di scivolare o di scendere a compromessi con noi stessi anziché lasciarci trascinare da una corrente indefinita che non potremo prevedere mai dove ci condurrà. Di conseguenza tendiamo a far emergere in maniera predominante la nostra parte razionale, quella che si avvale della logica e dell’equilibrio per prendere decisioni, determinare obiettivi, pianificare il futuro, e ci sentiamo così tranquilli e rassicurati dentro quei panni che decidiamo che per essere maturi dobbiamo necessariamente rinunciare ai nostri sogni.
E rinunciando a essi di conseguenza mettiamo a tacere la voce del bambino che è in noi, quello che credeva che i desideri si avverano, che tutto è possibile e che bisogna rialzarsi dopo che si è caduti, se vogliamo imparare a camminare. Dunque la nostra esistenza viaggia sul binario sereno delle certezze che abbiamo costruito anzi, che la nostra mente ha deciso sarebbero state le migliori per noi, ci sentiamo appagati, quando più e quando meno a seconda di quanto forte sia stata la determinazione con cui abbiamo combattuto per i nostri obiettivi, e abbiamo la sensazione di essere dove avevamo pianificato di stare.
Ma nel silenzio della notte, quando la nostra parte adulta, o razionale che dir si voglia, lascia il campo aperto a quella emotiva, permette a quel bambino entusiasta e sognatore di risvegliarsi, non possiamo mettere a tacere la voce che ci ricorda che un sogno esisteva e noi, volutamente, vi abbiamo rinunciato.
È davvero così?
Dobbiamo sul serio rinunciare ai sogni per costruire la realtà?
Oppure esiste un modo per ascoltare entrambe le voci, cercare di mediare tra le due e unirle per costruire un obiettivo comune che non ci costringa ad abbandonarne una a discapito dell’altra?
E poi, come mai se ci sentiamo così bene dentro la razionalità, quel sogno continua a venire a bussare ogni notte alla porta delle nostre emozioni lasciandoci in bocca al mattino il gusto amaro delle cose incompiute?
Forse chi ci ha raccontato che per stare bene dobbiamo rinunciare alla nostra parte sognatrice, ai nostri desideri in apparenza più irrealizzabili, forse non ha creduto possibile realizzarli, o forse non ha avuto abbastanza coraggio, abbastanza determinazione, abbastanza fiducia in se stesso, per farli diventare un obiettivo da perseguire con la stessa metodicità e organizzazione che hanno impiegato per realizzare altro. Forse siamo stati noi a non essere abbastanza coraggiosi o consapevoli di noi stessi da far uscire fuori la nostra voce interiore, quella che non voleva rinunciare anzi, cercava di trovare un modo per non farlo.
Così ci siamo adeguati alla strada che ci avevano indicato, quella che poteva tutelarci dalla delusione, dal rischio di cadere per non dover fare lo sforzo di rialzarci, ancora e ancora, come quando stavamo imparando a camminare, abbiamo messo da parte quel bambino che voleva continuare a credere nei sogni. Eppure non riusciamo a dimenticare quella verità che non abbiamo più il coraggio di raccontare neanche a noi stessi, non riusciamo a tenere relegato in un angolo di quella mente che tanto ci aveva protetti e guidati in passato, il piccolo sognatore che credeva che tutto fosse possibile.
E pensiamo che forse quella voce è la nostra verità, quella che ci manca per sentirci completi, quella che lasciando uscire potrebbe regalarci la felicità che ci manca, quella che possiamo ancora scegliere di ascoltare, di seguire, perché in fondo nella vita, non è mai troppo tardi.
Marta Lock