Sto bene così

Ciò che non abbiamo avuto… ci induce ad assuefarci alla convinzione… di non averne bisogno…

È sempre un processo piuttosto singolare e destabilizzante il dover adeguare e assestare il nostro punto di vista e le nostre aspettative alla persona che ci troviamo davanti o alla situazione che siamo costretti a fronteggiare, eppure accade continuamente e ripetutamente nell’arco dell’intera esistenza di ciascuno di noi. Inizialmente l’idealismo che appartiene all’età più giovanile ci induce a combattere per i princìpi che riteniamo irrinunciabili, quelli dai quali è impensabile staccarsi, non in quel momento, non finché le circostanze non ci metteranno esattamente davanti a quella scelta che avevamo detto di non compiere; tuttavia il destino a volte è beffardo e così ci costringe a confrontarci con due realtà parallele, quella del restare fedeli a quelli che siamo oppure quella del compiere un passo verso un’evoluzione che richiede necessariamente quella specifica rinuncia.

Quello è il primo frangente in cui apprendiamo sulla nostra pelle quanto sia necessario diventare più elastici, adeguarci alle esigenze che di volta in volta si presentano perché spesso ciò che possiamo avere è molto più importante di quel giovanile e testardo idealismo che lentamente ci abituiamo a perdere. La modificazione è lenta e si estende ad altri ambiti della nostra vita, al punto che quasi inconsapevolmente diventiamo molto più malleabili di quanto avremmo mai immaginato perdendo però il contatto con la nostra vera essenza; ma di tutto ciò non siamo ancora consapevoli perché ci raccontiamo di non aver più bisogno di quelle spinose estremità, che siamo cresciuti, siamo più equilibrati, abbiamo modificato il nostro punto di vista e non sono necessarie tutte quelle prese di posizione e quella mancanza di apertura verso le esigenze degli altri che avevano caratterizzato il nostro periodo precedente.

Anzi, spesso guardiamo con superiorità i giovani che siamo stati, sorridendo alle eccessive esigenze che dimostravamo, all’ostinazione di puntare i piedi quando qualcuno non ci dava ciò che sentivamo di volere, perché ora abbiamo compreso l’importanza di andare incontro agli altri, di rinunciare a qualcosa di noi per costruire un percorso condiviso che, se da un lato comporta l’accettazione della modifica di alcuni nostri lati particolarmente esigenti, dall’altro ci aiuta a comprendere che in fondo quei lati, quei punti fermi, non erano poi così prioritari, così importanti.

È la verità o è la bugia che ci raccontiamo per giustificare l’incapacità di chiedere ciò che necessitiamo?

Ci stiamo adeguando alle persone e alle circostanze oppure siamo davvero cambiati così tanto da aver perso il contatto con i nostri princìpi?

Perché dunque sentiamo dentro di noi quella sottile insoddisfazione, quel dubbio che ci sia qualcosa che ci manca, qualcosa a cui i noi che eravamo non avrebbero mai rinunciato?

Guardandoci indietro scopriamo che ciò di cui oggi diciamo di non sentire più la necessità, o che ci vantiamo di aver superato e lasciato andare proprio perché la nostra personalità si è formata e costruita verso una direzione differente da quella prevista, in realtà ci manca, vorremmo averlo accanto a noi, non sempre non in ogni momento certo, tuttavia sentiamo di non essere completamente appagati. Periodicamente emerge quella disorientante sensazione che forse la trasformazione abbiamo compiuto non è la migliore per noi, o forse lo è ma abbiamo dimenticato di mantenere il punto su alcuni aspetti, abbiamo messo a tacere alcune esigenze in modo tanto determinato da esserci convinti che non volevamo facessero parte della nostra vita. Così, alla luce di quell’analisi, ci rendiamo conto che le parole rassicuranti che avevamo rivolto a chi ci ascoltava, erano insufficienti a convincere quell’inconscia interiorità ancora tenace ed esigente che non voleva accontentarsi e rinunciare, conducendoci quindi a un nuovo inaspettato bivio, e cioè quello tra la passiva accettazione della consapevolezza di aver rinunciato coscientemente a ciò che invece è importante, e la forza di rimetterci in gioco e ricominciare a recuperare i noi che avevamo perduto e che possono convivere con gli adulti che siamo oggi. Perché siamo ancora in tempo per inseguire, cercare e trovare ciò che ci rende felici.

 

 

Marta Lock