Come ti chiamo?

Spesso i rapporti che diventano più solidi…sono quelli ai quali inizialmente non avevamo avuto bisogno di dare un nome…o di far rientrare in uno schema…semplicemente e liberamente scegliendo solo di viverli…

Molte, innumerevoli volte ci siamo trovati all’interno di rapporti, relazioni, sentimenti ai quali abbiamo sentito il bisogno di dare subito un nome, una definizione che li facesse rientrare nei rassicuranti canoni generalizzati permettendoci di spiegare, più agli altri che a noi stessi, e delineare il tipo di rapporto che stavamo avendo con qualcuno. Nella realtà dei fatti quella definizione, quell’appellativo, quel sostantivo fondamentale per inquadrare la situazione, ci faceva sentire parte della moltitudine di chi aveva la certezza di avere accanto qualcuno che rientrava in un confine ben tratteggiato riconoscibile dagli altri.

Poi però ci eravamo resi conto di aver avuto talmente tanta fretta di dare un nome, uno qualsiasi, al percorso che stavamo iniziando con l’altro da avergli dato quello sbagliato ritrovandoci all’interno di uno schema che non ci apparteneva o non apparteneva alla coppia della quale facevamo parte. Ecco quindi che il fidanzato si è rivelato qualcuno dal quale a un certo punto volevamo solo scappare, il marito qualcuno da cui desiderare di separarsi, il convivente qualcuno da non voler più trovare a casa, tutto questo a causa di quella irrazionale impazienza di aver voluto riconoscere in loro qualcosa prima ancora che si delineasse davvero e che fosse chiara e manifesta anche a noi.

Perché sentiamo la forte esigenza di dare una definizione a qualcosa che non abbiamo ben chiara neanche nella nostra testa?

Per quale motivo un nome diventa fondamentale per farci rientrare in uno schema predefinito che ci rassicura ma che forse non ci rende poi così tanto felici?

Come mai diamo la precedenza al denominare piuttosto che al sentire e al lasciare che qualcosa prenda da sola la propria direzione naturale?

Con il tempo e a seguito di un percorso a volte anche molto lungo arriviamo a comprendere che non è importante che qualcuno rientri subito in uno schema o corrisponda esattamente a quei canoni generalizzati che lo fanno immediatamente individuare come appartenente a un ordine prestabilito. Con il tempo impariamo a guardare il modo che ha una persona di porsi con noi e quanto sa essere presente nella nostra vita a suo modo, che può essere quello perfetto per noi pur non essendolo per la maggior parte del resto del mondo, e quanto il suo ruolo all’interno della nostra vita prende via via più spazio diventando di giorno in giorno più importante senza che ce ne rendiamo conto, proprio perché l’abbiamo lasciato crescere e svilupparsi lentamente, senza fretta e in modo assolutamente naturale.

Lasciando che qualcosa si evolva secondo il suo corso, prendendo la direzione più spontanea, senza nessun tipo di forzatura o richiesta, diamo a lei il tempo di crescere e a noi quello di capire che ruolo prende nella nostra esistenza così da corrispondere esattamente a ciò che desideriamo avere senza forse saperlo, permettendoci di trovare ciò che non sapevamo di cercare e solo a quel punto saremo pronti a sapere qual è il nome più giusto senza sentire il bisogno di darglielo, scoprendo e lasciandoci scoprire senza dover dire o dimostrare niente al resto del mondo.

Lasciando che qualcosa nasca senza nome probabilmente le lasciamo lo spazio e il tempo per far sì che quel nome si generi in modo spontaneo diventando molto più importante e indefinibile di tutte le definizioni che avevamo scelto di dare ad altre situazioni del passato, o che saremmo riusciti a darle se all’inizio ci fossimo soffermati a sceglierne una.

 

Marta Lock