Perché mi giudichi?

La cosa più difficile non è capire i motivi degli altri… la cosa più difficile è cercare di comprenderli… quando siamo coinvolti noi…

Le relazioni interpersonali sono un universo complicato e a volte incomprensibile in cui sembra che tutto ciò che abbiamo appreso dalle esperienze precedenti non sia applicabile agli incontri successivi lasciandoci così addosso l’insicurezza di non essere in grado di intuire, di comprendere abbastanza le persone che si trovano di fronte a noi. Questa consapevolezza genera tanto più rammarico quanto più teniamo a qualcuno, poiché a volte diventa estremamente complesso riuscire a dare un senso ad alcune posizioni, ad alcuni atteggiamenti che si rivelano completamente opposti a quelli che adotteremmo noi nella medesima situazione. Tutto ciò conduce inevitabilmente a fraintendimenti, all’incapacità di dare un senso a qualcosa che essendo in evidente contrasto con il nostro agire, con il nostro modo di approcciare gli accadimenti, acuisce in tal modo una distanza che induce entrambe le parti ad arroccarsi sulle proprie posizioni. Malgrado i chiarimenti e a dispetto delle occasioni di dialogo, restano latenti incomprensioni che vanno oltre la capacità razionale di ascolto perché si radicano sulla nostra personalità, su quella sottile convinzione che tutto sommato il nostro sarebbe l’atteggiamento migliore e che l’altro stia sbagliando.

Eppure in altre fasi, in altre situazioni abbiamo dato prova di essere perfettamente empatici, di riuscire a capire con chiarezza le singole motivazioni di due parti in causa e di notare quale potesse essere la chiave per condurli a un chiarimento e a una lettura differente del motivo del contrasto.

Dunque perché nel momento in cui siamo noi a essere coinvolti non riusciamo a trovare quella stessa chiave di lettura della situazione?

Come mai sembra tanto difficile metterci nei panni dell’altro e guardare le cose dal suo punto di vista anche se discordante dal nostro ma comunque verosimile?

In quale momento abbiamo stabilito che la nostra visione possa essere migliore o più attendibile di quella di un altro? Chi ci dà questa certezza?

Crescendo, incontrando, confrontandoci con il mondo esterno non abbiamo potuto fare a meno di constatare quante siano le sfaccettature e le diversità tra i vari individui, tra i personaggi più o meno protagonisti della storia della nostra vita, che si sono avvicendati e poi allontanati; davanti a quel costante entrare e uscire, malgrado la nostra precedente convinzione di aver compreso l’altro, di essergli andati incontro per trovare un terreno di dialogo comune, alla fine ci siamo dovuti rassegnare a prendere atto che forse l’unico modo giusto di procedere sarebbe stato quello di radicare le nostre convinzioni per aggrapparci a esse, unica possibilità di stabilità e di equilibrio nella marea costante dell’esistenza. Da quel momento in avanti dunque il punto di riferimento sulla realtà saremmo stati noi, le nostre idee, la nostra visione, perché altrimenti ci saremmo costantemente trovati nell’incertezza e nell’insicurezza del non saperci rapportare agli altri a causa della loro diversità e poliedricità.

Nel momento in cui però ci troviamo di fronte, ancora una volta a qualcuno a cui teniamo, diventa complicato riuscire a mantenere quella fermezza, poiché le sensazioni e le emozioni provate niente hanno a che vedere con quella razionalità divenuta baluardo della nostra esistenza, pertanto non possiamo fare a meno di rituffarci nel nuovo rapporto senza rete e consapevoli che prima o poi le incomprensioni, i fraintendimenti e i differenti punti di vista affioreranno compromettendo l’armonia iniziale. Può però accadere che una persona del presente abbia un approccio diverso, che sia a sua volta perfettamente consapevole delle difficoltà del comprendersi, delle complicazioni dell’uscire da se stessa e dal proprio punto di vista per cercare di venirci incontro, suscitando così in noi una reazione imprevista, mai avuta prima, che ci impedisce di metterci sul piedistallo di chi è certo di essere nel giusto predisponendoci a un ascolto più profondo in cui non esiste più giudizio, non esiste più la sottile convinzione di aver scelto l’atteggiamento migliore nei confronti degli accadimenti, bensì ci induce a un ascolto completo, totale delle sue ragioni, delle sue motivazioni consentendoci di capire la sua vera essenza.

A quel punto capiremo fino in fondo che i motivi e le azioni degli altri sono tanto validi quanto i nostri, perché risultato di un percorso diverso che ha strutturato le loro personalità quanto le esperienze in cui ci siamo imbattuti noi hanno strutturato la nostra. E non c’è un modo giusto e uno sbagliato, c’è semplicemente un nostro e un altro, entrambi validi e rispettabili.

 

 

Marta Lock