Tutto può succedere

Il giorno in cui tutto sarà semplice… comprenderemo dove doveva condurci… il percorso che ci aveva portati a imbatterci solo in cose complicate…

In alcune fasi della nostra esistenza emotiva ci troviamo talmente tanto risucchiati da un vortice di complicazioni, di situazioni strane o faccia a faccia con persone così contorte da indurci a credere che gli strani siamo noi, da convincerci che tutto andrà sempre in quel modo. Un po’ perché l’età adulta porta con sé, a noi e agli altri, barriere, schermi e schemi che nel tempo diventano quasi abituali, e soprattutto la convinzione che superata l’adolescenza non si può aspettare che le cose siano semplici, un po’ perché probabilmente crediamo fermamente che il più bello viene solo dopo aver lottato duramente.

Quindi proseguiamo a incontrare quel ventaglio di soggetti che, con piccole differenze l’uno dall’altro, fondamentalmente corrispondono alla medesima tipologia, portandoci ad indossare la stessa armatura da guerrieri che non possono fare a meno di combattere per conquistare terreno o da crocerossine che devono salvare l’insalvabile del momento. E la cosa singolare è che tutto ci appare normale, logico, un meccanismo dal quale pensiamo sia impossibile uscire perché, in fondo, se andiamo a imbatterci sempre in certi tipi tutto sommato sono proprio quelli che ci attirano di più. Diventa abituale muoverci tra quelle complicazioni, quelle fatiche per avere ciò che altri hanno con estrema facilità, quelle situazioni al di fuori della norma che a noi sembrano essere diventate normali, tanto siamo abituati a vederle ripetersi ancora e ancora.

Poi un giorno ci guardiamo dentro, oltre la maschera che indossiamo davanti al mondo, quella che togliamo solo quando siamo davanti al nostro specchio interiore, e cerchiamo un sorriso dell’anima che non riusciamo più a trovare.

Dov’è finito?

Perché nonostante le lotte ci abbiano fatti sempre sentire vivi, e sebbene siano state quasi più le vittorie che le sconfitte, tutte le contrarietà e difficoltà affrontate ci fanno sentire sfiniti, stanchi e sicuramente non felici?

Per quale motivo ci siamo raccontati fin troppo a lungo che per amare e sentirci amati dovevamo provare il dolore, la sensazione della perdita, la paura che l’altro ci sfuggisse dalle mani per sentire il desiderio di andare a riprenderlo?

Chi ha detto che una spontanea, armonica e semplice reciprocità, dichiarata, manifestata, rivelata, non sia sufficiente a farci sentire appagati?

Dopo quell’attento esame di noi come siamo stati fino a quel momento e della raggiunta consapevolezza di come vogliamo essere da quel punto in poi, dopo aver sollevato quelle pieghe, guardato negli occhi le esperienze vissute e dopo aver portato alla luce quei meccanismi inconsci che ci portavano perennemente sul filo di lana, sulla linea di confine tra benessere e dolore, tra ciò che sapevamo di desiderare per sentirci come avevamo tutti i diritti di volerci sentire e la paura di non riuscire a ottenerlo, quasi non lo meritassimo… dopo quell’illuminante, profondo esame, il punto di vista cambia.

Allora scegliamo di liberarci e lasciarci andare alla felicità, alla semplicità, alla naturalezza, alle cose che reciprocamente prendono subito la direzione che avevamo sempre desiderato prendessero prima, quando le cercavamo in soggetti che non potevano darcele, scegliamo di comprendere che il precedente percorso è stato necessario per farci giungere a una nuova, rasserenante consapevolezza. Allora tutte le complicazioni, tutte le resistenze, tutti i legami spezzati da tira e molla estenuanti, avranno un senso, si trasformeranno nell’anticamera, nell’attesa di ciò che ora sappiamo di volere, di quella persona che ci guarderà subito nel modo in cui desideriamo essere guardati, dritto negli occhi senza mai sfuggire, e che dal primo istante ci prenderà per mano e ci porterà via con sé.

E mentre noi aspettiamo fiduciosi, sorridendo, in un momento inatteso e sorprendente, ce la troveremo proprio davanti a noi, con la sorpresa e la semplicità nel confessarci di averci aspettati da sempre.

 

Marta Lock